Benvenuti in Barbagia, il cuore della Sardegna che lotta per non scomparire
di Redazione
Con i suoi 1000 metri, Fonni è il paese più alto dell'Isola. La sindaca Falconi: «Vivere qui è scomodo, da due anni manca il medico di base. Ma siamo come una famiglia»

Chi arriva a Fonni non sfugge al controllo degli anziani della piazza. «Buongiorno, buongiorno!», salutano cordialmente il forestiero dopo averlo scrutato. Sorridenti e affabili, ma è meglio non contraddirli. Ne sa qualcosa la sindaca Daniela Falconi. «Sono venuti da me in ufficio, lamentandosi per le panchine. Mi hanno detto che ce n’erano troppo poche e che erano costretti a fare i turni per sedersi. Così li ho accontentati e ne ho aggiunte un paio, anche perché tra di loro c’è mio suocero…».
Benvenuti in Barbagia, terra di silenzi e spazi vuoti al centro della Sardegna, beatamente lontana dal chiasso delle coste. Qui il tempo sembra scorrere a due velocità: alcune cose sono le stesse di una volta, altre per fortuna sono cambiate. «Ci conosciamo tutti, dunque si litiga su tutto – dice la sindaca, nonché mamma, imprenditrice e presidente dell’Anci regionale -. Ma ci si aiuta anche a vicenda, come in una grande famiglia. La scomodità di vivere nell’interno si sente, ma puoi apprezzare il senso di comunità che altrove magari manca. Così non ti puoi lamentare se ti svegliano alle sei per dirti che c’è una perdita di acqua in strada…» Viene infatti da sorridere, se si pensa a quello che capitava in passato. «Mio papà Bachisio, che faceva il sindaco prima di me, scampò a un attentato nel 1991. Due fucilate lo mancarono per puro caso. Io in due mandati non ho mai nemmeno ricevuto minacce. Anche se so che alcuni colleghi continuano a subire intimidazioni: basta poco per vedersi l’auto incendiata…. Certo non è più l’epoca dei sequestri di persona: anche qui in paese, che fu teatro di una faida, ci furono diversi arresti».
Altri tempi, anche se l’erba cattiva, è il caso di dire, non muore mai. Tre settimane fa proprio a Fonni la polizia ha scoperto una maxi piantagione di marjuana. «Ogni tanto vediamo gli elicotteri delle forze dell’ordine sorvolare i dintorni. Siamo una delle zone d’Europa con il maggior numero di coltivazioni illegali – commenta la sindaca – perché il territorio ha molti anfratti e tanta acqua. Il traffico di droga è l’evoluzione del banditismo. La manovalanza è locale, ma c’è il rischio di infiltrazioni da parte di criminali di ben altro spessore: il dubbio è che la logistica sia nelle loro mani».

Nuovi fenomeni, ma soprattutto vecchi problemi. La popolazione di Fonni è scesa a 3.579 persone, nel 2019 erano 3.796. È la grande questione delle aree interne italiane, che in Sardegna se possibile si amplifica. Già Guido Piovene, nel suo celebre Viaggio in Italia, toccò con mano la solitudine che si avverte sulle alture del Nuorese. Per strada può capitare di non incontrare anima viva per chilometri, al massimo qualche asino assetato. «In realtà quando vado a Cagliari penso sempre che la cosa migliore sia tornare a casa – sorride la sindaca – Abbiamo la nostra tranquillità, siamo a un’ora dal mare, il paese è tutto sommato benestante grazie alle numerose imprese agroalimentari. Però le difficoltà ci sono: da due anni manca il medico di base, i bandi sono andati deserti. Ci sono 2mila pazienti senza assistenza, perlopiù anziani. Abbiamo solo l’ambulatorio di comunità, una sorta di guardia medica garantita da laureati in medicina che si stanno specializzando». Falconi è al secondo mandato alla guida di una giunta di centrosinistra. Ma da anni non ha più la tessera del Pd. «Sono delusa dalla politica centrale, che dimentica i territori. La stessa Sardegna deve porsi il problema dello sviluppo: su 377 comuni, 350 sono piccoli. Cosa vogliamo farne? Vogliamo ridurli a posti da vedere nel weekend?». A Fonni intanto ci si arrangia da soli. «I servizi comunali funzionano, con i fondi del Pnnr abbiamo raddoppiato l’asilo e se una mamma lavora le garantiamo la copertura fino a sera. Ma il costo del personale delle cooperative è aumentato: il fondo regionale cui attingiamo andrebbe adeguato. C’è anche un centro disabili che fa grandi cose, d’estate portiamo i ragazzi al mare, in un hotel per tutti. I clienti sulle prime sono diffidenti, poi si affezionano ».
L’altra grande preoccupazione riguarda i giovani: «Abbiamo un’elevata dispersione scolastica: quando vanno a studiare in città, molti 14enni si perdono. Non sono abituati ad alzarsi all’alba per prendere l’autobus e tornare nel tardo pomeriggio. Poi l’Università: il 90% di chi va a studiare lontano dalla Sardegna non torna. Se vogliamo trattenerli, dobbiamo offrire loro prospettive. Servono corsi di laurea capaci di coniugare l’innovazione con le attività tradizionali del territorio». Turismo in primis. «Ma non possiamo andare a cercare chi frequenta spiagge e bar: chi sale qui cerca altro. E non chiamateci “borgo”, per favore. Siamo un paese. Basta con la logica folcloristica, la gente deve conoscerci nella vita quotidiana, non solo durante i giorni del palio (a Fonni si disputa una gara di cavalli che richiama quella di Siena, ndr). Altrimenti si rischia l’effetto museo. Ecco perché abbiamo portato qui spettacoli teatrali e, quest’anno, anche un festival del giornalismo d’inchiesta».
Con i suoi mille metri, nel cuore del Gennargentu, Fonni è il paese più alto della Sardegna. D’inverno si può anche sciare. «Quando nevica arrivano tutti, solo che nevica sempre meno. Così abbiamo adeguato gli impianti per renderli fruibili anche d’estate. Manca il collaudo, speriamo che arrivi presto. Non è stato facile, perché servono competenze tecniche che spesso i nostri Comuni non hanno. La burocrazia può essere estenuante».

Di sicuro non semplifica la vita di chi ogni giorno prova a salvaguardare un territorio aspro. «Il vero pericolo è la desertificazione, letteralmente – riflette Falconi -. Se diminuiscono i pastori, i pascoli sono più esposti agli incendi. Quest’anno la dermatite bovina ha tenuto le mandrie nelle stalle, quindi non è stato facile presidiare i 5 mila ettari pubblici. Grazie anche agli sforzi dei volontari però ci siamo riusciti». Ma il fuoco non è l’unico elemento primordiale con cui la Barbagia continua a fare i conti. «L’acqua non ci manca, ma c’è da rimediare a perdite e guasti della rete idrica. Gli invasi, poi, potrebbero avere una capienza maggiore se non fosse per lavori che si protraggono troppo nel tempo». La vicina diga di Govossai, che rifornisce buona parte del Nuorese, è stata realizzata nel 1954 grazie ai fondi della Cassa del Mezzogiorno. Oggi, come altre, è commissariata dal ministero delle Infrastrutture: «Si sono evidenziati cattive condizioni di manutenzione della diga – si legge sul sito del Mit -, protrattesi per anni, e insufficienti valori dei coefficienti di sicurezza». Di qui i necessari lavori di “manutenzione conservativa” che dovrebbero concludersi nel 2027.
In bilico tra passato e futuro, Fonni guarda avanti. Chi visita il paese, invece, spalanca gli occhi davanti ai muri. Sulle pareti delle case spuntano enormi dipinti che raffigurano scene e personaggi locali, secondo la tradizione barbaricina. Un murales celebra “Tia Anna”, classe di ferro 1921, un’istituzione in paese. Se ne è andata poco tempo fa, ma resta il ricordo di lei seduta sul gradino vicino alla Basilica di Santa Maria dei Martiri, dove trascorreva la giornata snocciolando il rosario. I turisti stranieri la immortalavano e poi le mandavano le foto per posta. Lei le mostrava alla figlia e con orgoglio diceva: «Vedi? Sono andata in tutto il mondo». Senza muoversi dall’uscio di casa.
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