A Pescara la preside impedisce ai 18enni di firmarsi la giustifica: è polemica

La circolare chiede agli alunni maggiorenni di accompagnare assenze e ritardi alla sigla dei genitori. Una misura che in un Paese già anziano sposta ancora più in là l'età in cui si diventa adulti
September 9, 2025
Per un’assenza, un ritardo o un’uscita anticipata da scuola un diciottenne non potrà più giustificarsi da sé. Quello che, arrivati in quarta o quinta superiore, era per ogni alunno un agognato traguardo che permetteva di non doversi più rivolgere al genitore per farsi certificare qualsiasi modifica sull’orario, cancellando un fastidioso passaggio logistico, il rischio della dimenticanza nonché – certo – dando anche qualche possibilità di manovra in più a chi per saltare la scuola si era finora dovuto ingegnare almeno a falsificare la sigla materna, ha rischiato per qualche ora di essere messo in discussione da una circolare firmata dalla dirigente scolastica dell’Istituto tecnico commerciale Guglielmo Marconi di Penne, in provincia di Pescara.
La preside, che risponde al nome di Angela Pizzi, qualche giorno fa aveva informato gli studenti maggiorenni con un documento protocollato che per il prossimo anno scolastico anche loro sarebbero stati obbligati a presentare la firma di mamma o papà affinché le assenze o i ritardi fossero accettati dai docenti. L’episodio, segnalato dagli alunni interessati e poi riportato dalla stampa, ha fatto discutere e convinto la dirigente di Penne a modificare il provvedimento.
Ma la polemica aveva le sue ragioni. Anzitutto per un profilo giuridico: la legge italiana riconosce a chi compie diciotto anni i pieni diritti e doveri di cittadino, nel bene e nel male. È a quell’età che si vota, che si diventa punibili all’interno del sistema di giustizia penale ordinario, si ha autonomia patrimoniale, ci si può sposare liberamente e si possono stipulare validamente contratti senza il consenso dei genitori.
In questo senso, dunque, il provvedimento dell’Itis abruzzese avrebbe qualche elemento di illegittimità se non addirittura – ed è proprio questa l’accusa mossa alla dirigente dagli alunni coinvolti nella cronaca – di incostituzionalità. Ma la vicenda, a chi abbia tempo di ricamarvi sopra, smuove qualche perplessità anche dal punto di vista sociale. Significa togliere la fiducia a priori a un’intera categoria di ragazzi, solo in ragione della propria età, ritenuta di per sé rivelatrice di una condizione acerba che non merita distinguo.
Vuol dire pure credere che, nella società di oggi, nessun diciottenne può essere definito responsabile, tantomeno maturo; e così facendo la soglia per diventare adulti si sposta inesorabilmente sempre un poco più in là. "Sì, ma quanto?" viene da chiedersi vivendo in un Paese tanto demograficamente quanto mentalmente anziano, dove a trenta, trentacinque e poi ancora a quaranta finanche ai cinquant’anni, si è sempre “ragazzi” e dove – un po’ come se fossimo sull’isola che non c’è – sembra che non si possa mai davvero diventare grandi.

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