lunedì 11 maggio 2020
La giovane cooperante rilasciata dagli islamisti di al-Shabaab dopo 18 mesi di prigionia finalmente è arrivata a casa. Aperta un'inchiesta sulle minacce e sugli insulti
Il saluto di Silvia Romano dalla sua finestra di casa

Il saluto di Silvia Romano dalla sua finestra di casa - Ansa

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Dopo quasi due anni Silvia Romano è tornata nella sua città, Milano. La 24enne è arrivata lunedì pomeriggio nella sua casa di via Casoretto, nell'omonimo quartiere a nord est della città: ad attenderla oltre ad amici e vicini anche centinaia di giornalisti e fotografi che hanno immortalato il suo ritorno. Partita in auto da Roma Silvia ha raggiunto Milano con la famiglia: un lungo applauso ha accolto l'arrivo della 24enne volontaria rapita il 20 novembre 2018 in Kenya e liberata nella notte tra l'8 e il 9 maggio scorso a Mogadiscio in Somalia dove era tenuta prigioniera.

Il cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Cei, in una intervista al sito Umbria 24 ha parlato di Silvia Romano come di una "nostra figlia". "Questa è una ragazza con una grande grinta e forza interiore che l'ha salvata. È stata spinta da moltissimi motivi, religiosi e umanitari, e questo l'ha aiutata a sopravvivere". Per l'arcivescovo di Perugia la vicenda dimostra "la serietà della nostra politica estera". "La politica - ha aggiunto -, nel senso più nobile della parola, ha fatto la sua parte".

Non ci sarebbe al momento"nessuna valutazione riguardo ad una tutela" per la giovane, anche se l'edificio in cui vive è ancora sorvegliato, in seguito anche ai violenti attacchi subiti sui social. È quanto fanno sapere dalla Prefettura di Milano. In ogni caso, poiché gli insulti non si fermano e si sono aggiunti anche minacce di morte (vicino a casa della ragazza è stato trovato un volantino), il pm Nobili ha aperto un'inchiesta per minacce aggravate. Il profilo Fb della ragazza è stato chiuso.

Il diario rimasto in mano ai rapitori

Il diario su cui la giovane descriveva i giorni della sua prigionia in Somalia è rimasto nelle mani dei suoi rapitori. In base agli elementi forniti nel corso del colloquio con i magistrati, durato oltre 4 ore, la ragazza è stata tenuta in ostaggio sempre dallo stesso gruppo islamista al-Shabaab dopo essere stata ceduta dal gruppo armato che l'aveva prelevata nel villaggio di Chakama, in Kenya, il 20 novembre del 2018. La procura di Roma mesi fa ha inviato una rogatoria internazionale alla Somalia per chiedere collaborazione sul fronte delle indagini. Al momento però non è giunta alcuna risposta dalle autorità somale.

La giovane (23 anni al momento del rapimento avvenuto nel poverissimo villaggio 80 chilometri dalla capitale Nairobi, in cui svolgeva la sua opera come cooperante) aveva chiesto ai suoi carcerieri un quaderno per appuntare tutti i momenti della sua prigionia.

Silvia Romano al pm Sergio Coliocco avrebbe detto che il primo mese è stato il più duro: "Piangevo sempre".

La liberazioni e le polemiche sulla conversione...

Silvia Romano è arrivata dall'Africa domenica nel primo pomeriggio, accolta dalla madre, dal padre e dalla sorella maggiore Giulia e dalle massime autorità dello Stato, tra cui il premier Giuseppe Conte e il ministro degli Esteri Luigi Di Maio. L'arrivo è stato trasmesso in diretta da televisioni e siti web, e subito è partita la polemica sull'abbigliamento della ragazza: una veste islamica verde (uno dei colori preferiti del profeta Maometto), la stessa che ricopriva le decine di ragazze rapite in Nigeria dal gruppo estremista Boko Haram nel 2014, nei rari video che ne hanno certificato in questi anni la sopravvivenza. Indice evidente di una conversione all'islam, poi confermata dalla stessa Silvia. "È successo a metà prigionia, quando ho chiesto di poter leggere il Corano e sono stata accontentata". E' stato un processo lento, "loro mi hanno spiegato le loro ragioni e la loro cultura; il mio processo di riconversione è stato lento in questi mesi".

A quel punto la discussione, soprattutto sui social, si è fatta più aspra, fino al punto da diventare offensiva nei confronti della stessa giovane, come se il fatto di esserci convertita facesse perdere valore alla sua liberazione. Solo per fare un esempio del tenore di queste odiose polemiche, ecco la frase choc di un politico di centro-destra, poi rimossa da Facebook: "Ora avremo una musulmana in più e 4 milioni di euro in meno, un affare proprio". Una frase indegna, che ricalca peraltro i titoli di prima pagina di due quotidiani nazionali, e che ha attirato lo sdegno di molti e le critiche dell'Ucoii (Unione delle comunità islamiche in Italia), che ha chiesto uno stop all'islamofobia.

In un altro post di un esponente leghista milanese, si affiancano due fotografie di Silvia: una prima del rapimento, in abito corto e tacchi, latra con l'abito con il quale è scesa dall'aereo. E poi la scritta "Liberata?". Ripugnante, ha scritto qualcuno, ma i commenti sotto il post erano quasi tutti di segno opposto.

Perfino il parroco del Casoretto, che alla notizia della liberazione aveva suonato le campane della chiesa, ha ricevuto critiche "per aver trasformato il campanile in minareto", ha confermato lo stesso don Enrico.

Chi parla a ragion veduta sono due missionari del calibro di Paolo Latorre, comboniano in Kenya ("Non sarebbe stato facile resistere senza convertirsi") e padre Giulio Albanese, grande esperto di Africa e fondatore dell'Agenzia Misna: "Provo un profondo disgusto nei confronti di coloro che si stanno scagliando contro di lei con invettive d'ogni genere. Polemizzare sulla sua conversione all'islam o sul pagamento di un riscatto per il rilascio lo trovo fuori luogo. Una cosa è certa: nessuno può dire, a parte il suo sorriso, quali siano le reali condizioni di Silvia, oltre che fisicamente, da un punto di vista psicologico e spirituale".

La giovane ha confermato di non aver subito costrizioni fisiche né violenze e di non essere stata costretta a sposarsi. E' stata spostata 4 volte, in moto e a piedi, di essere rimasta chiusa in case nei villaggi, "ma mai carcerata". I carcerieri, sempre gli stessi, erano armati e a volto coperto.

... sul riscatto...

E' stato pagato oppure no? E se sì, quanto? La domanda è rimbalzata fin dalle prime ore successive alla liberazione ma si è diffusa ancora di più al rientro in Italia e ha trovato grande spazio nei quotidiani di oggi. L'intelligence italiana come è ovvio non conferma né smentisce, ma alcuni giornali hanno parlato di una cifra di alcuni milioni di euro, e il loro pagamento, secondo alcuni commentatori "rende l'Italia complice dei terroristi". Ci si chiede quale sarebbe stata l'alternativa in un caso come questo: lasciare Silvia nella mani dei suoi rapitori per sempre? Lasciarla uccidere?

L'arrivo di Silvia Romano a Ciampino, accolta dal premier Giuseppe Conte

L'arrivo di Silvia Romano a Ciampino, accolta dal premier Giuseppe Conte - Fotogramma

Altri, come Matteo Salvini, hanno criticato l'accoglienza del governo a Ciampino: "Penso che un ritorno più riservato, un profilo più basso da parte delle istituzioni, avrebbe evitato pubblicità gratuita a livello mondiale a questi infami che nel nome della religione hanno ucciso migliaia di persone".

... e persino sul "mi hanno trattata bene"

In un passaggio dei suoi primi colloqui con gli inquirenti, Silvia ha detto di essere stata trattata bene. Tanto è bastato perché, soprattutto sui social, si scatenasse la rabbia di molti, sintetizzata nella frase "potevate lasciarla lì".

Tanto livore in una occasione che indurrebbe solo alla felicità: forse perché si tratta di una donna? Esiste uno strisciante sessismo nel trattamento riservato a Silvia? Chiediamocelo: se fosse stato un uomo, ad essere rapito, la sua conversione, il rapporto con i carcerieri avrebbe riscosso altrettanta (malevola) attenzione?

"Ci vuole pudore - dice ancora padre Albanese in una intervista all'Ansa -. Del sequestro di Silvia Romano sappiamo poco o nulla. Ancora meno sappiamo delle condizioni psicologiche e spirituali in cui si trova la ragazza e soprattutto delle sue condizioni durante questa prigionia lunghissima, un anno e mezzo. al-Shabaab è in assoluto la più feroce delle organizzazioni terroristiche ora presenti in Africa (...) . Il minimo che una donna possa subire durante una prigionia da parte di al-Shabaab è l'offerta di conversione. E sottolineo il minimo".

"Silvia ha sicuramente subito un inferno. Dopodiché io, anche come sacerdote, rispetto appieno le sue scelte: se ha abbracciato l'Islam io lo rispetto ma lo ha fatto in un contesto di grandissima tensione". "Io credo - ripete - che per Silvia ci voglia pudore, rispetto, è un accanimento verso una persona che viene fuori da un inferno, una nostra connazionale".

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