mercoledì 29 agosto 2018
L'11 settembre è una delle date che cambiano la storia per l'entità del dramma e i suoi effetti, preconizzati nelle cronache del giornale
Le macerie delle Twin Towers crollate a Manhattan dopo l'impatto di due jet civili (ansa)

Le macerie delle Twin Towers crollate a Manhattan dopo l'impatto di due jet civili (ansa)

COMMENTA E CONDIVIDI

«Un autentico attacco al cuore del mondo libero è stato sferrato ieri da terroristi kamikaze contro gli Stati Uniti. Aerei civili sono piombati sulle torri gemelle del World Trade Center e sul Pentagono. Tragico il bilancio non ancora definitivo: si calcola che le vittime possano essere decine di migliaia. Il presidente Bush, che si trova al sicuro in una base militare del Nebraska, ha promesso che "i terroristi saranno identificati e puniti". Le frontiere degli Stati Uniti sono state chiuse e bloccati tutti i voli aerei. Le prime ipotesi delle autorità americane puntano a Benladen, il terrorista miliardario». Titolo: «Attacco al cuore del mondo libero».

È la prima pagina di Avvenire del 12 settembre 2001. Un’altra data che segna un’epoca: dopo, nulla sarà come prima. È anche un’altra delle rarissime giornate di cui ricordiamo tutto: chi può dimenticare dove fosse, quell’11 settembre, e dove e come vide – in tv a casa, in ufficio, al bar... – le Twin Towers colpite, poi in fiamme, infine sgretolarsi mentre una cortina di polvere tutto copriva come un lurido sudario?

Da New York, quasi in tempo reale, racconterà ai lettori la tragedia Elena Molinari, redattrice dell’agenzia Reuters, da quel momento corrispondente di Avvenire. Ecco un brano della sua secca, drammatica cronaca: «Barricati al 19esimo piano di un palazzo di vetro. La polizia dice di non muoversi, di non uscire, di stare calmi. È il nuovo palazzo della Reuters, una torre di trenta piani nel cuore di Manhattan, a Times Square. Già, Times Square, con i suoi grattacieli e le sue luci visibili fin dalla Luna, il simbolo dell’America dello sfarzo e del divertimento, ma anche la sede del Nasdaq, il secondo polo della vita finanziaria della città. Un possibile bersaglio, insomma, dicono gli ufficiali dei vigili di fuoco che ci hanno fatto chiudere le finestre, abbassare le tapparelle. Per renderci meno vulnerabili, dicono. Poi arriva la notizia di un attacco al Pentagono, a Washington, e nonostante gli sforzi di stare calmi un terribile pensiero si fa strada nelle menti di tutti. Cos’altro succederà? È davvero finita? O è solo l’inizio?».

Sono passate poche ore, ma già si intravedono le mosse future. Bush farà rullare i tamburi di guerra. Vittorio Emanuele Parsi lo prevede e individua anche il bersaglio: «Una nuova Pearl Harbor. Oggi come sessant’anni fa gli Stati Uniti sono stati colpiti a freddo, con un colpo durissimo, portato a tradimento». Gli Usa hanno tanti nemici, ma «la strategia suicida, la ricchezza dei mezzi, l’assenza assoluta di fuga di notizie, tutto insomma porta verso la pista dell’estremismo islamico e della sua anima nera Ossama Benladen. Se gli americani già odiavano il "magnate del tritolo", ora faranno tutto il possibile per colpirlo. E con lui colpiranno quei Paesi che dovessero essere anche solo sospettati di averlo in qualche modo protetto». Ne è convinto anche Camille Eid: «I primi sospetti sono diretti proprio a lui. A Ossama Benladen, il 44enne miliardario di origine saudita diventato, a partire dall’inizio degli anni Ottanta, il finanziatore dell’integralismo islamico di mezzo mondo – dalla Cecenia al Sudan e dall’Algeria alle Filippine – e che vive dal maggio 1996 in Afghanistan, protetto dai taleban».

Nelle tante pagine interne, Avvenire offre ai lettori approfondimenti e interviste. Ovunque emerge una certezza: sta per scatenarsi una lunga guerra ricca di incognite. Maurizio Cecchetti intervista l’antropologo Remo Guidieri, dell’Università di Parigi. Domanda e risposta: «Il messaggio consegnato in questo disastro sembra essere quello di portare l’America a una guerra in Medio Oriente...». «Già, spingerli a mandare truppe per reprimere o magari per una soluzione finale». Chi scrive intervista Andrea Nativi, direttore della Rivista Italiana di Difesa: «E ora, che cosa dobbiamo ragionevolmente attenderci da parte dell’amministrazione americana? Semplici ritorsioni politiche ed economiche nei confronti dei possibili fiancheggiatori dei terroristi, o una risposta militare?». «Militare, senza dubbio. Si prenderanno il tempo necessario, identificheranno i responsabili, e a quel punto colpiranno cercando la sorpresa, cosa che di solito riesce agli israeliani, agli americani vedremo». La risposta militare (senza sorpresa) ci sarà, e durerà anni.

All’interno, ancora, Carlo Baroni avanza le prime ipotesi sul volo 93. Paolo Mastrolilli e Maurizio Blondet raccontano la New York sgomenta. Antonio Giorgi ha seguito la giornata sulla Cnn. Salvatore Mazza riferisce del telegramma del Papa a Bush. Toni Mira sente Giulio Andreotti. In Vaticano, Francesco Ognibene intervista il cardinale americano Edmund Casimir Szoka: «Dobbiamo per prima cosa pregare per le vittime e per la pace, perché non si arrivi a una soluzione estrema, una ritorsione, perché si trovino vie per evitare nuove tragedie». Forse non si pregò abbastanza. O forse ancora una volta furono gli uomini a non ascoltare, né le preghiere né Dio.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI