Rubriche

Vargas Llosa tra romanzo e democrazia

Alfonso Berardinelli venerdì 18 gennaio 2019
L'intervento di Mario Vargas Llosa con cui si chiudeva l'ultimo numero di “Vita e pensiero” dovrebbe attirare l'attenzione sia di narratori che di studiosi e critici. Il suo titolo, Contro l'intrattenimento salviamo i veri romanzi, è molto in sintonia con il senso di sazietà, di saturazione, se non di nausea, che ormai si sta diffondendo fra i lettori e gli editori. Sembra che si tratti di una legge di natura: quando la quantità di romanzi pubblicati supera un certo limite, la qualità diminuisce. In realtà, probabilmente, i veri narratori e i veri poeti in ogni generazione non sono più di un paio di dozzine e i libri degni di essere riletti sono ancora meno. Intorno a questi numeri esigui si estende oggi la pianura di una iperproduttività che sembra davvero sterminata se ha fatto venire in mente a molti questa semplice formula: "oggi tutti scrivono". Ma se è così, non tutto ciò che si pubblica come letteratura può essere davvero letteratura. Vargas Llosa mette in relazione (non è una novità) romanzo e politica, romanzo e democrazia, argomentando che «la civiltà si impoverirebbe molto se la letteratura sparisse o se diventasse un puro divertimento, uno svago passeggero e superficiale [...]. Se lo spirito critico scomparisse, probabilmente il mondo più avanzato, quello scientifico e tecnologico, diventerebbe un mondo di automi, di robot, e quegli incubi che la letteratura è stata capace di inventare, ad esempio quelli di Zamjatin o Orwell, potrebbero concretizzarsi». Insomma, la vera letteratura si caratterizza per la presenza in essa di uno spirito critico che va oltre l'intrattenimento e che può anche spaventare mostrandoci in anticipo le conseguenze possibili, probabili o inevitabili delle nostre azioni attuali, del nostro attuale modo di pensare e di vivere. Personalmente non credo che la cosiddetta letteratura "inutile" sia semplicemente inutile. È anche dannosa. Non c'è niente al mondo che non crei contagio e non abbia conseguenze. La cattiva letteratura "serve" a mettere in ombra quella buona, quella che merita di essere letta. «Viviamo in un mondo in cui la cultura aspira all'intrattenimento», dice Vargas Llosa. Ma il "libro-svago", il "libro non problematico", annunciano la fine (desiderata?) dello spirito critico e della cultura come critica dell'esistente: annunciano cioè "un mondo senza libertà". E quando le società democratiche aspirano a fuggire dalla libertà, quando danno segni di preferire una qualche forma di servitù volontaria, la democrazia comincia a morire in spirito, anche se le istituzioni continuano a fingerne l'esistenza.