Rubriche

UN AVVERBIO

Gianfranco Ravasi mercoledì 6 dicembre 2006
La vita non è una proposizione o un'asserzione, ma un'interiezione, una interpunzione, una congiunzione, tutt'al più un avverbio. Comunque mai una delle parti principali del discorso. Conosco ormai da anni e nutro grande ammirazione e affetto per Claudio Magris. Lo scorso anno avevo letto il suo impegnativo e intenso romanzo Alla cieca (Garzanti 2005) e, come spesso mi accade, segnavo qua e là le pagine che mi colpivano maggiormente nella lettura. A distanza di tempo, riprendendo in mano quel volume, noto la frase che oggi propongo. A pronunciarla nell'opera è Pistorius, «il maestro di grammatica». Io la riprendo con una finalità più ampia che, però, non collide del tutto col senso originario. Quelle parole, infatti, mi sembrano lanciare un interrogativo capitale, quello sul senso della vita. Molti sono convinti di essere in se stessi una frase compiuta e definita, dotata di una sua autosufficienza. Sono gli orgogliosi possessori di tutte le spiegazioni, ritrovate in se stessi, nella loro ragione, esperienza e vitalità. Ci sono, al contrario, quelli che sono rassegnati a considerarsi appunto soltanto come una congiunzione o un avverbio che galleggia nell'aria o nel vuoto, senza un significato, simili a una particella che non ha né un'origine né una meta in cui posarsi e comporsi con altre. Infine c'è un altro atteggiamento che non emerge direttamente nelle parole di Pistorius ma che potrebbe da esse derivare: il termine fondamentale è «discorso». Noi non siamo, forse, una frase perfetta e compiuta ma, pur essendo solo un avverbio limitato, acquistiamo senso e valore proprio perché siamo parte necessaria di un discorso che ci ingloba e trascende. E compito della rivelazione divina è svelarci questo discorso.