Rubriche

Storie di binari

Marina Corradi sabato 8 gennaio 2022
C'erano una volta, tra Calalzo e Cortina, i binari di un piccolo treno bianco e blu che ogni mattina saliva dal Cadore. Al di là di due corse, nessun treno passava più per l'intera giornata. Allora la ferrovia era usata da molti come scorciatoia per il paese: era bella, fra i campi pieni di fiori, la massicciata di sassi candidi sotto al sole. E, davanti, l'aristocratica parete del Pomagagnon, tutta inclinata, come spinta da mille anni di vento del Nord. Anche i miei, con noi bambini, camminavano spesso sulla ferrovia. Io però, benché molto piccola, non mi sentivo tranquilla: se c'erano dei binari, pensavo, era perché doveva passare un treno. E continuavo a voltarmi indietro, cercando una locomotiva che spuntasse all'orizzonte. Mentre la mano di mia madre mi tirava: «Su, Marina, non c'è nessun treno». Riprendevo il cammino in faccia a quella parete di straordinaria roccia rosa, che del nostro camminare sembrava una meta, o un destino. (Ma veramente si poteva essere certi che nessun treno stesse arrivando alle nostre spalle?). Infantilmente percepivo, come sospesi, dolori e mali che sarebbero presto arrivati. Ma la mano gentile di mia madre, e i miei stessi occhi, colmi di quella parete di roccia indicibilmente bella e misteriosa, erano un segno di altro – un segno buono. C'era già tutta la vita, penso, in quel nostro andare sui binari, sotto al sole trionfante di luglio.