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Aut-aut

Marina Corradi venerdì 14 dicembre 2018
Era Ferragosto, ero a Milano, quel mattino, sola. Mi svegliai e l'orologio segnava mezzogiorno: ma, mi chiesi come dentro a una bolla di nulla, di quale giorno, o anno? Mi guardai attorno: una sconosciuta camera d'albergo. Il cellulare, non sapevo più usarlo. A memoria, sul fisso, feci il numero di mio marito. Che giorno è? Domandai spaventata. E di che anno? E, i bambini?
Un'amnesia totale. La camera d'albergo, era in realtà casa mia. Al pronto soccorso una Tac, d'urgenza. Io mi sentivo già meglio. Mi rivestii, ma un medico mi bloccò. «La ricoveriamo. C'è una macchia nella regione paracerebellare, forse un'emorragia». Non sentii ragioni: stavo bene, e volevo solo i bambini. Rifiutai il ricovero.
Ma a casa, la sera, la mia baldanza crollò. E la macchia? Mi sarei risvegliata, la mattina? Guardai i bambini addormentati. Un pensiero come una lama: se Cristo non c'è e muoio, non li rivedrò mai più. Di slancio, allora, come fossi molto in ritardo, archiviai vecchi oziosi dubbi. (O lui c'è, o tutto è un inganno). Di Cristo, infine, certa.
Alla seconda Tac, la macchia non fu trovata. Era un difetto della lastra, dissero i medici. Dell'ischemia, nessuna traccia. Se non in me. Quel duro aut-aut, e, finalmente, a schiaffi, capire l'essenziale: senza Cristo, sarebbero perduti nella morte, i volti che amiamo.