Opinioni

Una foto che parla. Quelle grida senza ascolto pensiamoli nostri figli

Marina Corradi sabato 24 aprile 2021

In una foto diffusa da Sos Mediterranée il cadavere di un uomo galleggia in mare, avvinto a un salvagente. Indossa una giacca a vento, il cappuccio nero gli nasconde il volto. Non è annegato: forse ha retto a lungo, nel-l’attesa di un salvataggio che non è arrivato. L’uomo è morto di ipotermia, cioè di freddo, giovedì scorso, insieme ad altri 130 migranti. In acque Sar, acque internazionali di competenze libica quanto ai soccorsi. Alarm Phone, il centralino civile che raccoglie gli Sos, aveva lanciato l’allarme mercoledì alle 14. In oltre 24 ore né Frontex né la cosiddetta Guardia costiera libica si sono mosse. Nemmeno un mezzo militare italiano. «Li hanno lasciati morire », dicono dall’Oim, l’Agenzia Onu per i migranti.

La registrazioni di Alarm Phone testimoniano che, avvertita, la Guardia libica non attiva le sue motovedette – donate dall’Italia. Il mare si sta alzando, sul gommone sono nel panico. La batteria del satellitare, gridano, sta per esaurirsi. Al tramonto però vedono sopra di loro un piccolo aereo di Frontex. Chissà che tumulto nel cuore di quegli uomini (e donne, e forse bambini): un aereo ci ha avvistati, siamo salvi. Ma, niente all’orizzonte. E quell’aereo? Frontex in un comunicato afferma di avere lanciato la segnalazione. L’ultimo contatto con il gommone è delle 20. Alle 22 la Guardia costiera libica risponde ai volontari: mare troppo agitato, non usciamo. È calata la notte. La Ocean Viking, della Sos Mediterranée, fa rotta più rapidamente che può verso le coordinate ricevute, ma il mare è pessimo, le occorreranno dieci ore. All’alba, Alarm Phone risollecita Frontex. Risposta: «Gentile Signore/a, grazie per la vostra e-mail. Si informa che Frontex ha immediatamente inoltrato il messaggio alle autorità italiane e maltesi». Poi, per ore e ore, nessuno interviene. Quando la Ocean Viking e tre mercantili civili arrivano sul posto trovano un gommone sfasciato, e dieci annegati.

Sos Mediterranee / Flavio Gasperini

Quel poveretto ferocemente attaccato, nel rigore della morte, a un salvagente, è quanto ci è dato di vedere di questa terribile notte. Guardiamolo bene, però. È giovane, come lo sono tutti quelli che riescono a superare estenuanti odissee dall’Africa subsahariana, e poi fuggono dalla Libia. Sotto alla giacca a vento chissà quante maglie aveva: fanno così, i migranti, contro il freddo, s’infilano addosso tutto il poco che hanno. Ben coperto, l’uomo confidava di farcela. Come i suoi compagni certo sapeva a memoria il cellulare della madre o del padre, per chiamare, appena toccato terra. Vent’anni aveva, forse? L’età in cui i nostri figli ci sembrano ancora ragazzini, cui perdonare ogni cosa.

Ma, lo aveva mai visto il mare? Piatto forse, in una bella giornata, non terribile come l’altra notte. E noi, riusciamo a immaginare i suoi occhi, su quel gommone sollevato come un fuscello? Uno dei miei figli è bruno e ha gli occhi neri, come molti italiani. Non succede a voi di sovrapporre per un istante la faccia di un figlio, alla faccia dello sconosciuto in mare? (Forse per questo tre mercantili hanno deviato dalle loro rotte, perché, stando in mezzo alla tempesta, qualcuno ha pensato ai suoi figli, e ha avuto pietà).

Ma ai centralini di soccorso di Tripoli e a quelli di Roma, di La Valletta e dei controllori europei dei confini l’allarme rimbalzava reciprocamente (tocca a loro, tocca ad altri – e poi, nel caso, dove li portiamo?) In Libia è vietato riportare migranti. Non restava che l’Italia, o Malta. Che notte fonda, quella di questo 22 aprile, e non solo nel Mediterraneo. Mentre tutti i media itaiani ed europei erano su Superlega o sul Covid, sui lockdown o i colori delle zone, sui permessi per le seconde case, quanto nera doveva essere la notte, negli occhi di quegli uomini in mare. Di quell’uomo forsennatamente attaccato a un salvagente, tanto che nessuna onda è riuscito a strapparglielo.

Che disperata voglia di vivere doveva avere, e che forza nelle braccia – la forza dei vent’anni. Guardiamo i nostri figli, questa sera. Davvero non gli somigliano per niente? E questa Europa, invece, a cosa somiglia? A un’enclave chiusa da alte mura. Dentro, stiamo morendo di paura più ancora che di Covid. E, ossessionati, non alziamo lo sguardo. A un disperato Sos non risponde nessuno. «Gentile signore/ signora, grazie della vostra email…». Come una voce registrata nell’ufficio vuoto di una città abbandonata, a Ferragosto. A questo, l’altra notte, somigliavamo.