Opinioni

Le guerre ignorate nel Corno d’Africa. Gli occhi chiusi fanno strage

Paolo Lambruschi mercoledì 14 settembre 2022

Nell’indifferenza globale in Corno d’Africa si sta consumando la tragedia più grande di questa «terza guerra mondiale a pezzi» come la definisce il Papa. Colpa di tre flagelli biblici qui concentrati come in nessun altro luogo del pianeta.

La peste, perché qui il Covid non si rileva ed è considerato male minore rispetto a malattie rese letali dalla povertà e dalla mancanza di accesso a farmaci e cure. La fame, ben nota alle popolazioni di questa porta dell’Africa, diventata ormai carestia per quattro anni di raccolti persi a causa della siccità da mutamenti climatici e dei conflitti. E la guerra, appunto, sia quella civile in Somalia tra i terroristi jihadisti di al-Shabab e le autorità nazionali; sia quella in Tigrai ripresa il 24 agosto tra il governo centrale e quello locale, responsabile di un arretramento di mezzo secolo nelle condizioni di vita dei tigrini sottoposti per un anno al blocco di servizi essenziali e aiuti umanitari. Le popolazioni etiopi settentrionali stanno patendo un’ondata di violenza mai vista con stupri di massa, massacri di civili inermi distruzione di ospedali e scuole, bombardamenti indiscriminati da parte di droni.

Non c’è il rischio che da qui prenda il via un conflitto nucleare che metta in pericolo l’umanità, certo. Ma è insopportabile – o dovrebbe esserlo – pensare che rischiano di moltitudini di esseri umani, sono quasi venti milioni le persone a rischio, tra Etiopia, Eritrea e Somalia. E molti anziani donne e soprattutto bambini sotto i cinque anni stanno già morendo di stenti in casa e per strada, stando a quanto dichiarano gli organismi umanitari internazionali legati all’Onu come Fao, Oms e Ocha.

E nessuno, Unione Africana in primis, riesca a fermare il disastro. I flussi migratori fuori controllo che ingrassano i trafficanti e ci spaventano nascono così in questo lembo orientale del grande continente dove si convive da decenni con instabilità e conflitti che soffocano le enormi potenzialità di sviluppo. In quest’area le conseguenze della guerra in Ucraina sono state particolarmente pesanti perché la dipendenza dal grano e dai fertilizzanti russi e ucraini era alta e la comunità internazionale si è distratta. A luglio era arrivato solo il 4% degli aiuti internazionali necessari e ad agosto il 17%.

Le responsabilità della catastrofe del Corno d’Africa gravano su molti. Anzitutto le potenze del Golfo, la Turchia neo-ottomana, la Cina, la Russia e gli Usa che si contendono il controllo delle floride rotte commerciali del Mar Rosso e delle risorse naturali con bracci di ferro e veti incrociati ai tavoli di trattativa e all’Onu. La guerra è comunque un affare per questi Paesi, produttori e venditori di armi. Sono poi notevoli la corruzione e l’incapacità della classe dirigente locale di superare divisioni etniche e claniche. Senza contare la questione sottovalutata e irrisolta della Grande diga etiope sul Nilo che crea continue tensioni con Sudan ed Egitto, a loro volta sostenitori dei nemici di Addis Abeba, come appunto i leader tigrini del Tplf. Somalia ed Etiopia, mai amiche, sono tornate ad esempio guardarsi con sospetto perché il neopresidente somalo Sheikh Mohamud viene considerato filotigrino.

E infine ci sono le grandi responsabilità del premier etiope Abiy, Nobel per la pace 2019, che rischia di condurre l’Etiopia al collasso economico e sociale dopo quasi due anni di conflitto fratricida in Tigrai. Nel quale è coinvolta a fianco di Addis Abeba e dei suo alleati regionali l’Eritrea, oppressa da una ventennale dittatura che per la prima volta un diplomatico americano – Steve Walker ex incaricato d’affari all’Asmara – ha definito «intrinsecamente tossica» per il Corno.

Ovvero causa e non soluzione dell’instabilità della regione, tanto che gli Usa hanno messo attorno a un tavolo a Gibuti negoziatori etiopi e tigrini per arrivare a una svolta. E Roma? Nonostante i legami storici, in questa guerra è rimasta sostanzialmente a guardare dopo 30 anni in cui si è di fatto dimenticata del Corno.

Ma in questa area dell’Africa dove missionari e cooperanti hanno continuato a stare con i poveri, resta una forte domanda di Italia. Che significa capacità di formare non solo militari, ma medici, ingegneri e agronomi. Che non significa armi sofisticate, ma imprese che lavorano bene e uno stile di vita invidiato da molti perché figlio della pace.