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L'operazione. Un blitz nelle carceri libiche. Colpo alla rete dei trafficanti

Paolo Lambruschi martedì 9 marzo 2021

Blitz delle forze speciali del ministero dell’Interno libico nella 'città dei fantasmi'. E secondo colpo in 30 giorni alle milizie che gestiscono con trafficanti subsahariani il mercato di esseri umani in Libia nei centri 'informali'.

Il 5 marzo scorso all’alba, unità della brigata da combattimento 444 della Rada, le forze anticrimine, hanno fatto irruzione in sei capannoni riconvertiti a prigioni non ufficiali a Bani Walid, arrestando torturatori libici e africani e liberando 70 migranti somali ed etiopi. Tra gli arrestati, confermano esponenti dell’opposizione eritrea in Italia, il famigerato Hassan, che i profughi sopravvissuti alla durissima prigionia a Bani Walid hanno descritto come crudele e sadico aguzzini di questi lager.

Un video sui social mostra l’irruzione degli agenti e gli arresti. Il ministro dell’Interno Fathi Bashaga, secondo gli osservatori in piena campagna elettorale, pare intenzionato a presentarsi agli europei come interlocutore affidabile sullo scottante tema del controllo dei flussi. Il 16 febbraio scorso, infatti, le forze di sicurezza libiche avevano arrestato sei trafficanti che tenevano in una casa prigione a Kufra, primo approdo nel deserto dal Sudan, 156 migranti, tra cui 15 donne e cinque bambini provenienti da Somalia, Eritrea e Sudan. Dopo tanti anni ieri è crollato il mito dell’impunità della 'città dei fantasmi', così detta per i tanti subsahariani che vi hanno perso la vita. Bani Walid, 150 chilometri a sudest di Tripoli, è considerato un hub dei migranti gestito direttamente dai trafficanti. Punto di arrivo delle carovane di migranti provenienti dal deserto sia dalla rotta dell’Africa occidentale dal Ciad che da quella orientale dal Sudan e dirette verso la costa, diventava l’inferno per chi non aveva il denaro per proseguire.

I migranti venivano divisi nei capannoni-lager in base alla nazionalità e detenuti in condizioni disumane. Le torture, spesso in diretta telefonica con i parenti per estorcere riscatti, erano abituali come le violenze sessuali. Nessuno fino a venerdì era intervenuto nella città franca dei trafficanti per stroncare orrori noti e documentati. Un video pubblicato ieri dal ministero dell’Interno libico mostra infatti una donna picchiata a sangue dai carcerieri. Ma Avvenire aveva pubblicato foto di prigioniere e prigionieri di questo inferno appesi al muro o minacciati con una pistola alla testa già nel 2018 e nel 2019, mentre in Italia per propaganda politica si sproloquiava sui «centri benessere » libici offendendo la memoria delle vittime di atrocità indicibili.


Ad esempio, nemmeno tre settimane fa è evaso, durante il processo ad Addis Abeba, Kidane Zekarias Habtemariam, supertrafficante eritreo forse fuggito in Sudan e attivo dal 2013 fino a tutto il 2019 anche a Bani Walid. Dove, secondo i testimoni sopravvissuti stuprava le detenute e organizzava tornei di calcio tra squadre di prigionieri macilenti che non potevano saldare i riscatti dove i perdenti venivano uccisi. A Bani Walid torturava, stuprava e uccideva anche il somalo Osman Matammud, detto Ismail, primo condannato all’ergastolo con pena confermata in Cassazione lo scorso ottobre per crimini commessi nei lager libici. Lo avevano fatto arrestare a Milano nel 2016 le sue vittime. Decisive anche per l’arresto nel Cara di Isola Capo Rizzuto ordinato dalla procura della Dda di Catania di un altro noto aguzzino sbarcato in Italia, ad Augusta, dopo essere stato salvato da una Ong a febbraio in mare. Sabir Abdallah Ahmed, sudanese, 26 anni, è accusato di associazione per delinquere finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Sarebbe uno dei complici dei trafficanti che usavano la violenza per tenere l’ordine prima delle partenze.