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Il film "Corri ragazzo corri". La Shoah dei bambini

Emanuela Genovese mercoledì 21 gennaio 2015
​«Non dimenticare mai di essere ebreo». Oggi Yoram Friedman ha 82 anni e vive in Israele. Ha ricordato l’appartenenza alla sua famiglia e la sua storia è diventata un libro di Uri Orlev e poi un film del tedesco Pepe Danquart, Corri ragazzo corri, che Lucky Red distribuirà in sala dal 26 al 28 gennaio, in occasione della Giornata della Memoria. Una storia incredibile, emozionante, dura. E la Shoah, dal punto di vista di un ragazzino, è ancora più dura e insostenibile. Skrulik è il più piccolo di cinque fratelli di una famiglia di ebrei che vive in un villaggio vicino Varsavia. Ha nove anni quando le pattuglie naziste stanno rastrellando paesi, città, campagne. Si nasconde in un carro e miracolosamente evita i controlli della Gestapo. «Dimentica il tuo nome. Ma anche se dimenticherai tutto, perfino me e tua madre, non dimenticare mai che sei ebreo». L’ultimo incontro con il padre gli rimarrà impresso. Quelle parole saranno il suo sostegno nel cammino che è costretto a intraprendere. Così col nuovo nome di Jurek, il ragazzo inizia la sua fuga senza meta tra i boschi della Vistola in un autunno inoltrato. «Non spaventarti. La foresta ti protegge. E i tedeschi ne hanno paura», lo esorta prima un bambino, poi una ragazzina anche loro in fuga dai villaggi o dal ghetto di Varsavia. La sopravvivenza ha costi e rischi: il rubare galline o frutta per poter mangiare e il rischio di essere scoperto da persone senza scrupolo. La Gestapo è disposta a pagare i non ebrei quando consegnano giudei. Ma ci sono famiglie, più coraggiose o più inclini all’altro, che aprono le porte della propria casa. Proprio come una donna, moglie e madre di partigiani, rimasta da sola, che lo accoglie quando sta quasi morendo per congelamento. Sarà questa donna, che prega e ha una sincera devozione per la Madonna, a insegnargli il segno della Croce, a regalargli un rosario e un crocifisso. Corri ragazzo corri «è la storia di quanti riuscirono a elevarsi al di sopra delle uccisioni sistematiche di uomini e donne che, rischiando la loro vita, aiutarono coloro che altrimenti non sarebbero sopravvissuti» ha dichiarato il regista, premio Oscar nel 1994 con il suo cortometraggio contro il razzismo, Schwarzfahrer (traducibile con Passeggero nero o passeggero in nero). «Non si tratta solo degli “Schindler” o dei “John Rabe”, ma anche di semplici contadini anonimi che aiutarono un ragazzino ebreo a sopravvivere alla foresta». Con una regia limpida, accompagnata da una colonna sonora che non risparmia emozioni, Corri ragazzo corri è un film toccante sul coraggio di un bambino che ha come unica risorsa il ricordo dell’affetto e della speranza. La miseria o la bellezza che accompagnano le scelte delle persone incontrate sono l’affresco del genere umano, disposto a cedere per vivere o a lottare per aiutare. Gli orrori del ghetto sono suoni e immagini che riempiono gli incubi di Jurek, mentre la malvagità degli ufficiali della Gestapo, sempre protagonisti e mai semplici esecutori, rafforza il dramma vissuto dagli ebrei. Ma ciò che sostiene la visione di un dramma senza logica è il racconto di una vita, che nonostante l’orrore, non viene spezzata. Di un popolo che privato della propria identità è costretto a nasconderla senza perderla. Un parallelismo che ricorda Storia di una vita, il romanzo di Aharon Appelfeld, lo scrittore israeliano che da bambino riuscì a fuggire dal ghetto e per tre anni visse nei boschi dell’Ucraina. Un “fil rouge” accompagna queste storie, vere e molto vicine a noi poco distanti temporalmente. Quel “fil rouge” che aiuta a mantenere viva la memoria della Shoah e di un popolo che, vittima di una ferocia irrazionale, non smette di guardare il cielo e non cerca una compassione sentimentale, ma solo un posto nel mondo.