Sara Morganti, la regina del paradressage
La campionessa paralimpica, medagliata a Parigi e Tokyo, da 30 anni convive con la sclerosi multipla: «Salire a cavallo mi rende felice: lo sport mi ha insegnato a superare tutti gli ostacoli»

«Lo sport mi ha insegnato a superare gli ostacoli che incontro nella vita di tutti i giorni». Queste parole sono di Sara Morganti, atleta paralimpica, specialità paradressage, argento e bronzo alle ultime Paralimpiadi di Parigi, da 30 anni con una diagnosi di sclerosi multipla. «Sono sempre stata sportiva fin da bambina, facevo atletica, danza, ero iperattiva, giocavo a pallavolo, a calcio, qualsiasi sport per me era un piacere. A 13 anni ho iniziato a montare a cavallo, però l’equitazione è uno sport costoso e per farlo aiutavo in scuderia: sellavo, pulivo i box, solo per poter montare. In realtà mi bastava anche solo stare tra i cavalli, ma se riuscivo a montare in cambio del lavoro era un regalo grandissimo». E poi la diagnosi: «Ho iniziato a manifestare i primi sintomi e ho passato un periodo di negazione totale. Avevo problemi a deambulare. All’inizio non l’ho detto a nessuno, fingevo di non essere malata, negavo. Dopo un anno i sintomi sono peggiorati e non potevo più nasconderlo, né agli altri né a me stessa. Sono entrata allora in una fase diversa, non lo accettavo. Pensavo di non poter fare più sport o non avere più la forza di studiare, fare progetti per il futuro. Sono stata ricoverata a 22 anni e dovevo fare riabilitazione; mentre ero lì ho avuto un ulteriore peggioramento e ho dovuto iniziare a usare la carrozzina, che era il mio terrore più grande. Poi quando è successo mi sono resa conto che non era così terribile, perché la vita va avanti, e anche pienamente. Avevo in previsione di sposarmi e mi sono sposata, poi è arrivato tutto il resto».
In quel momento inizia un’altra fase ancora: «Lì ho smesso di chiedermi cosa non potevo fare e iniziato a pensare a cosa potevo ancora fare. La risposta era: quasi tutto. Cambiava solo il modo di farlo. Non voglio semplificare però, perché la malattia rende difficili molte cose, con terapie per il dolore pesanti. La stanchezza è uno dei sintomi principali, che però dipen-de dal danno neurologico, non dagli sforzi che faccio. Per questo la stanchezza non mi ha mai impedito di montare a cavallo, perché è una cosa che mi rende felice e non mi fa pensare ai problemi». Il percorso, tuttavia, non è stato lineare: dalla diagnosi nel 1995 Morganti scopre l’equitazione paralimpica nel 2005: «La strada è stata un sacrificio, ma se c’è un esito positivo vale sempre la pena. Montare per me è una vittoria. Mi sono laureata nel 2008, avevo appena intrapreso la mia attività agonistica, ma aveva un costo. Allora ho iniziato a lavorare come segretaria al centro equestre dove monto. Con l’aiuto di mio marito siamo riusciti a comprare la cavalla con cui faccio le gare da 15 anni, Royal Delight (con cui ha conquistato alle Paralimpiadi di Tokyo uno storico bronzo; è infatti la prima medaglia nel paradressage per l’Italia nella storia dei Giochi)».
Al centro della passione di Morganti per questa disciplina c’è infatti il rapporto strettissimo con il cavallo, sia dentro che fuori la gara: « L’obiettivo – spiega – è che la comunicazione tra cavaliere e cavallo diventi invisibile all’occhio di chi guarda. Per riuscire ad avere un rapporto così invisibile devi stare insieme al cavallo, perché ha il proprio carattere proprio come le persone; devi capire di cosa ha paura, come pensa. La cosa importante è che non ci sia mai costrizione, ma collaborazione. Con il tempo si crea un rapporto sempre più stretto e si parla di binomio: non vince solo il cavaliere, si vince insieme». E vincere è una specialità di Morganti, che ha partecipato a tre Giochi paralimpici e molte altre competizioni: «I momenti più belli sono sicuramente le medaglie paralimpiche, sia a Tokyo che a Parigi. A Tokyo è stato un bronzo con la cavalla di sempre; a Parigi invece ho gareggiato con l’altra cavalla. Vincere con entrambe per me rappresenta un percorso, la costruzione di un lavoro che coinvolge anche i miei due tecnici (Alessandro Benedetti e Laura Cons), perché senza di loro non sarei arrivata da nessuna parte».
Parlando di percorso, poi, non si può con Morganti non citare anche quello fatto dal mondo della disabilità nello sport: «L’attenzione mediatica è stata un crescendo. Sentire dire al tg che avevo vinto una medaglia è stata una rivoluzione, perché significa finalmente essere visti come atleti. Il lavoro del Comitato Paralimpico è stato fondamentale, soprattutto in termini di conoscenza e promozione dello sport, perché solo attraverso tutto questo si possono tirare fuori di casa le persone con disabilità, mostrando loro cosa si può fare. Quello che speriamo come atleti è lanciare un messaggio: non che siamo super campioni, ma che siamo sportivi a tutti gli effetti e che è possibile. E magari qualcuno vedendoci potrebbe pensare: “ci provo anche io”, anche solo per passare del tempo insieme agli altri, condividere una passione, oltre che provare a vincere. In secondo luogo è fondamentale la formazione, anche dei formatori, ovvero aumentare gli istruttori e i tecnici nei numeri, che siano però specializzati in ciascuno sport paralimpico e non improvvisati ». E per il futuro? «Quest’anno gli Europei. Il prossimo anno i Mondiali, poi andrò avanti un passo alla volta».
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