Modric, un campione di fede e umiltà per la nuova Serie A
Riparte il campionato italiano che ritrova un Pallone d’oro come l'asso croato, grato a Dio per il suo talento: «Il Milan è un sogno d'infanzia. La famiglia è ciò che dà forza alla mia passione»

«La giovinezza è un atteggiamento del cuore», sosteneva un allenatore dell’anima come Giussani. Ma è una constatazione che calza a pennello anche per alcuni artisti del pallone. Luka Modric sulla soglia dei 40 anni (li compirà il 14 settembre) continua a dribblare l’età anagrafica con il suo talento. Una gioia per gli occhi dei suoi nuovi tifosi milanisti, ma anche per tutti gli appassionati della nuova Serie A al via oggi. Con l’arrivo del 39enne centrocampista croato, il campionato italiano ritrova un Pallone d’Oro dopo quattro anni di vuoto (dalla partenza di Cristiano Ronaldo, alla Juventus dal 2018 al 2021). Modric l’ha conquistato nel 2018 con la maglia del Real Madrid, club nel quale ha vinto tutto quello che si poteva vincere. Poteva allora tranquillamente appendere gli scarpini al chiodo o chiudere da nababbo nei dorati lidi arabi. «Non è il mio modo di fare – ha detto a Dazn presentandosi da nuovo giocatore rossonero - Quando gioco a calcio voglio farlo al più alto livello possibile. Quando non sarò più in grado smetterò, ma amo questo gioco, ho ancora passione e motivazione. Avrei potuto fare una scelta più facile, sarei potuto andare in altri campionati non così competitivi, ma non sarebbe stato da me».
Una scelta che affonda nel passato ripensando a quel bambino con la tuta rossonera immortalato insieme ai suoi genitori in una foto che ha spopolato sui social: «È un bel ricordo, dimostra quanto il Milan fosse popolare al tempo, soprattutto in Croazia. Io sono cresciuto guardando il vostro campionato e il Milan era la mia squadra preferita da bambino, soprattutto per Zvonimir Boban che giocava qui: era il mio idolo. La prima volta che vieni qui percepisci l’aura di grandezza che ha il club: ha vinto 7 Champions League, è secondo solo al Real Madrid».
Nella sua stellare bacheca brillano le sei Champions League eppure indimenticabile è il primo trofeo del piccolo Luka vinto proprio in Italia, ad Alzano Lombardo (Bergamo) nel 1997 quando aveva 12 anni. Trascinò il suo Zadar alla conquista del torneo internazionale (categoria Esordienti) all’oratorio dell’Immacolata di Alzano. «Ho conservato bellissimi ricordi di quel torneo, sono stato premiato come miglior giocatore». All’epoca la Jugoslavia era in pieno conflitto. E quei ragazzi che venivano ospitati dai padri Dehoniani di Albino, arrivavano da contesti drammatici. Lo stesso Modrić aveva dovuto abbandonare il suo villaggio per rifugiarsi come profugo nella vicina Zara. Lui ha visto in faccia la guerra dei Balcani. Aveva soli sei anni quando i serbi uccisero suo nonno mentre pascolava il gregge. Luka che porta il suo nome e spesso lo accompagnava non dimentica: «Ero molto legato a mio nonno... Quando l’hanno ucciso è stato un momento davvero duro. Ero piccolo e ancora non capivo certe cose. Andavamo a cercarlo ma non sapevamo che non sarebbe più tornato».
Però il caschetto biondo che dribblava tutti nel parcheggio dell’hotel dei profughi è riuscito a superare anche gli orrori jugoslavi. Dalla Dinamo Zagabria al Tottenham fino al Real Madrid e alle meraviglie con la sua Nazionale con cui ha sfiorato il titolo Mondiale nel 2018 (sconfitto in finale contro la Francia). Per i suoi connazionali non ci sono dubbi: è lui il giocatore croato più forte di tutti i tempi. Una scalata di classe e dedizione frutto senz’altro di un’incredibile forza interiore. Le telecamere qualche anno fa svelarono il motivo per cui prima di una partita baciò i parastinchi: lì infatti da sempre nasconde una foto della sua famiglia e un’immagine del Sacro Cuore di Gesù. Molto riservato nella sua vita privata, non è un mistero però l’amore per la sua famiglia, il legame con sua moglie Vanja Bosnic, dalla quale ha avuto tre figli, e anche la sua fede cattolica unita a un tenace senso del dovere. «La classe innata? Sono molto grato perché Dio mi ha dato un talento, ma poi devi lavorare e dedicarti molto a quello che fai, alla tua professione. Talento senza lavoro non significa molto» spiegò una volta a Real Madrid Tv.
Sono bastati pochi tocchi nella prima partita ufficiale a San Siro contro il Bari in Coppa Italia per mandare in estasi i tifosi del Milan. Ma è difficile dire se riuscirà a risollevare una squadra che in campionato l’anno scorso ha chiuso all’ottavo posto, fuori da tutte le coppe. Sebbene i rossoneri ripartano con un allenatore già navigato come Allegri che porta in dote sei scudetti (e il primo proprio al Milan), sono altri i club sulla carta più attrezzati (su tutti il Napoli di Conte campione d’Italia e l’Inter finalista di Champions). Il fuoriclasse croato però ce la metterà tutta: «Voglio giocare il mio calcio, dare una mano quando è necessario e portare esperienza, mentalità vincente ed essere d’aiuto ai miei compagni». Ma è inutile chiedergli ancora la pozione magica della sua longevità: «Tutti fanno la stessa domanda, ma la realtà è che non ci sono segreti. Per me, è semplicemente l’amore per il gioco, la passione. Ho ancora dei sogni calcistici, e il Milan è un sogno d’infanzia. Ma la famiglia è la cosa più importante. Anche se vivo per il calcio e mi diverto, la famiglia è al centro del mio focus quotidiano».
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