La passione dei Papi per il ciclismo
Dalla benedizione di Pio X al saluto di Leone XIV oggi, uno sport amato dai pontefici. Un legame reciproco: da Bartali, campione di fede e di coraggio, a Pantani folgorato da Giovanni Paolo II

Oggi il 108° Giro d’Italia si concluderà con la ventunesima tappa, Roma-Roma (143 km) e il passaggio non agonistico in Vaticano prima del via. Alle 15.30 è previsto il saluto di Papa Leone XIV. I ciclisti attraverseranno i Giardini Vaticani per dirigersi verso il ritrovo di partenza allestito presso le Terme di Caracalla. è nato il 28 ottobre 2021 in occasione della cerimonia per la consegna ad Athletica Vaticana del riconoscimento come membro ufficiale dell’Unione ciclistica internazionale.
«La vita è uno sforzo, la vita è una gara, la vita è un rischio, la vita è una corsa, la vita è una speranza verso un traguardo, che trascende la scena dell’esperienza comune. E voi, venendo dal Papa…esprimete, con la vostra presenza, un desiderio, una preghiera d’essere capaci, d’essere degni non solo di rappresentare, ma di conquistare quella meta finale, ch’è il vero e ultimo destino della vita». Così parlava Paolo VI ai corridori del Giro d’Italia il 30 maggio del 1964. Un dialogo ininterrotto quello tra i pontefici e il ciclismo. Oggi la Corsa Rosa torna in Vaticano e sarà papa Leone XIV ad accogliere di nuovo i corridori. Un passaggio simbolico, la “prima tappa” dell’imminente Giubileo dello Sport (il 14 e il 15 giugno). Un legame saldo, sin dalla prima edizione del Giro nel 1909 che partì con la benedizione di Pio X, rinnovata poi anche da Benedetto XV. Un affetto reciproco testimoniato anche alla morte di Giovanni XXIII il 3 giugno del 1963: la notizia arrivata in piena corsa portò a una tappa, il giorno dopo, che si concluse senza premiazioni in segno di lutto.
Un grande appassionato fu anche papa Pio XII che oltre a ricevere più volte la carovana in Vaticano nel 1949 proclamò la Beata Vergine Maria del Ghisallo patrona dei ciclisti. Il Santuario, su un colle che domina il lago di Como è diventato negli anni punto di riferimento di campioni e società ciclistiche. Lo testimoniano anche i numerosi cimeli votivi (biciclette, maglie, gagliardetti, coppe, medaglie) che adornano le pareti della chiesa. Nel piazzale davanti sorge il monumento al ciclista, benedetto da Paolo VI nel 1973. Nei pressi sorge anche il Museo internazionale del ciclismo, la “casa” mondiale dei tifosi della bicicletta. La spiritualità “ciclistica” del Santuario del Ghisallo è stata sostenuta più volte anche da Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco. E proprio Bergoglio qualche anno fa dedicò al ciclismo una riflessione significativa. «È uno degli sport – disse - che mette maggiormente in risalto alcune virtù come la sopportazione della fatica - nelle lunghe e difficili salite -, il coraggio - nel tentare una fuga o nell’affrontare una volata -, l’integrità nel rispettare le regole, l’altruismo e il senso di squadra… E quando un compagno attraversa un momento di difficoltà, sono i suoi compagni di squadra a sostenerlo e ad accompagnarlo. Così anche nella vita è necessario coltivare uno spirito di altruismo, di generosità e di comunità per aiutare chi è rimasto indietro e ha bisogno di aiuto per raggiungere un determinato obiettivo».
Uno sport amato dai successori di Pietro, tanto più la Corsa Rosa. «Se tutto lo sport è umano, per noi italiani il Giro d’Italia è umanissimo»: queste le parole il 20 maggio del 1972 del patriarca di Venezia, Albino Luciani che sarà poi eletto papa nel 1978 con il nome di Giovanni Paolo I. Tanti gli assi del pedale che hanno voluto incontrare di persona i pontefici. Da Fausto Coppi e Gino Bartali a Eddy Merckx e Felice Gimondi fino ai più recenti Peter Sagan ed Egan Bernal. Ma lasciò il segno l’udienza ai corridori del Giro nell’anno del grande Giubileo del Duemila. Ad accoglierli c’era l’amatissimo papa, san Giovanni Paolo IIm che folgorò non poco l’ultimo grandissimo del ciclismo italiano: l’indimenticato Marco Pantani. L’anno precedente, il fuoriclasse romagnolo era stato fermato per il controverso ematocrito alto a Madonna di Campiglio mentre stava dominando il Giro. Per il Pirata una clamorosa ingiustizia, purtroppo poi fatale per il suo animo fragile. Si era fatto coraggio ed era tornato in sella pur con tanti dubbi. In Vaticano si avvicinò al pontefice, gli baciò la mano e poi si avviò lentamente all’uscita. Ai giornalisti dirà: «Le parole del Papa mi hanno dato la forza per ricominciare, nel suo sguardo ho scoperto l’umiltà che dovrebbe essere di tutti gli uomini, specialmente degli atleti».
Tra le leggende del ciclismo ce n’è però una, che ha riscosso più di tutti l’ammirazione dei pontefici: Gino Bartali (1914-2000). Un campione in corsa e fuori, per lo straordinario impegno con cui salvò centinaia di ebrei perseguitati durante la seconda guerra mondiale nascondendo i documenti contraffatti nei tubi della sua bici. Nominato “Giusto tra le nazioni” nel 2013, Bartali di cui si è aperto anche il processo di beatificazione è stato un cattolico fervente. Gino il Pio, “le pieux” come lo chiamavano i francesi per la sua fede mai taciuta. Non svelò invece mai la sua opera di salvezza per gli ebrei perché come confidò al figlio: «Il bene si fa, ma non si dice. E certe medaglie si appendono all’anima, non alla giacca».
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