Nanni Loy, l'audace genio di cinema e tv

Il 23 ottobre saranno 100 anni dalla nascita del cineasta di cui ricorre anche il trentennale della morte
October 8, 2025
Nanni Loy, l'audace genio di cinema e tv
Nanni Loy
La memoria corta di questo Paese ha dimenticato tanti “amici nostri” che hanno fatto grande il cinema italiano. Uno di questi è senza dubbio Nanni Loy, di cui si spera che almeno non passi inosservato il centenario della sua nascita: era nato a Cagliari, il 23 ottobre 1925. Un cineasta tra i più raffinati che abbiamo avuto, la cui definizione più calzante è nel titolo della prima delle due biografie che g Gianni Virgadaula gli ha dedicato: Nanni Loy. Umanità ed impegno di un regista proletario e aristocratico (La Rosa-Crescentino). L’aristocrazia di un uomo elegante dentro ai suoi bei cardigan (rossi) e la pipa di radica in bocca, la più famosa dell’Italia del secolo scorso, dopo quella fumata dal “Presidente”, Sandro Pertini. Un partigiano, della cultura e del costume, anche Nanni Loy. Coltissimo e sempre avanti sui tempi, ma non amava esibire le migliaia di libri letti e custoditi nella biblioteca domestica, così come non sfoggiava mai le conoscenze acquisite direttamente sul set, dai maestri incontrati nel Centro Sperimentale di Cinematografia, dove entrò quasi per caso. Dopo la laurea in Giurisprudenza, e il dubbio se fare o meno un dottorato di ricerca, arrivò improvvisa la “chiamata” dal fantastico mondo di celluloide. Galeotta fu la proiezione del film di Luigi Zampa L’onorevole Angelina (con Anna Magnani) alla quale il giovane Nanni assistette dopo una zingarata in osteria con gli amici suoi. Alla fine del film, seguì il dibattito con un appassionato Zampa che lo conquistò con una prolusione «dagli accenti entusiastici sulla “Settima arte”», come scrive Virgadaula nella seconda e più recente biografia Vi racconto Nanni Loy (Algra Editore, euro 12,00). Grazie alla sorella del regista, amica della fidanzata di allora, Nanni Loy entra in contatto con Zampa che gli consiglia di iscriversi al Centro Sperimentale di Cinematografia dove viene ammesso come “allievo aiuto regista” per il biennio accademico 1947-’49. Al CSC, il giovane Giovanni Loy, così si firmava nelle prime collaborazioni come assistente di Zampa, Goffredo Alessandrini e Augusto Genina, si contraddistinse subito per la personalità assai spiccata. Dopo regolare gavetta, il debutto sul grande schermo avvenne nel 1957 con Parola di ladro, pellicola che firmò assieme all’altro cineasta esordiente, Gianni Puccini. Per la prima volta nei titoli del film apparve il nome d’arte Nanni, «per evitare sovrapposizioni con un collega che portava lo stesso nome, Giovanni Loy», spiega Virgadaula. La premiata ditta Puccini-Loy mette d’accordo pubblico e critica e un anno dopo torna alla carica con Il marito, film che si regge sulla verve del protagonista, Alberto Sordi, ma che comunque accredita Nanni Loy per il salto a una prima regia tutta sua. Audace colpo dei soliti ignoti (1959) sarà la prima storica “staffetta” con Mario Monicelli, il quale aveva diretto quel cult apripista della commedia all’italiana de I soliti ignoti di cui l’Audace colpo è il degno sequel. Age e Scarpelli che con la collaborazione di Suso Cecchi D’Amico avevano scritto la sceneggiatura non erano riusciti a convincere Monicelli a concedere il bis, e così la scelta degli autori cadde sull’emergente Loy, il quale, incassò i favori del pubblico. Folla in coda al botteghino quando il film uscì nelle sale, nel Natale del ’59, e Loy ricambiò la fiducia degli sceneggiatori dichiarando: «Non me ne voglia Monicelli, ma I soliti ignoti, di cui è stato regista e Audace colpo dei soliti ignoti sono a mio avviso più film di Age e Scarpelli che nostri». Riconoscente fu anche il produttore Franco Cristaldi che aveva promesso: qualora l’Audace colpo  fosse andato bene allora avrebbe prodotto il suo prossimo film. Promessa mantenuta, nel 1961 arriva nelle sale Un giorno da leoni. Opera riuscita a metà, ma Loy raddrizza subito il tiro nel ‘62 con Le quattro giornate di Napoli. Una perla finale del neorealismo. Il suo film più letterario partito dal soggetto scritto da Vasco Pratolini e la sceneggiatura condivisa con lo scrittore-partigiano Carlo Bernari. Pertanto Le quattro giornate di Napoli ha già nella stesura narrativa insiti i germi del capolavoro al quale si deve aggiungere l’impronta attoriale del fenomenale Gian Maria Volontè, che di Nanni Loy condivideva a pieno il credo politico comunista e la dedica del film: «A Gennaro Capuozzo, medaglia d’oro al valor militare, morto a 11 anni con una bomba in mano, pronto a lanciarla contro i carri armati tedeschi». Una bomba anche il film, che lanciò il regista in orbita internazionale con la vittoria del Golden Globe e la candidatura all’Oscar come miglior film straniero. Dopo un successo così eclatante, Nanni Loy rimase comunque fedele al suo principio cardine: «Sono un artigiano dello spettacolo». E pertanto si rimette subito in gioco, ma nel piccolo schermo. Specchio segreto, fortemente voluto dal più visionario dei dirigenti Rai, Angelo Guglielmi, divenne la declinazione televisiva di quello che per Cesare Zavattini, amato maestro per Loy, era “il cinema-verità”. Quella telecamera che, secondo Zavattini, seguendo per un’intera giornata la vita di un qualsiasi cittadino al di sopra di ogni sospetto poteva «entrare nelle pieghe più nascoste della vita» di quell’uomo e «scoprirebbe verità meravigliose». Nanni Loy con la prima candid camera mai vista prima sui nostri schermi, svelò, in maniera geniale, le verità, i vizi e le virtù del Paese reale degli anni ‘60, quanto mai scoppiettante e ricettivo nell’era del boom e dei radicali cambiamenti sociali. Con Loy cambia passo anche la televisione. E lui, entra nelle case degli italiani non solo come regista, ma anche nelle vesti di attore e di sublime provocatore. Lo fa con la solita classe, con stile pacato, come con la sua “Zuppetta”: il cornetto intinto nella tazza dello sconosciuto. Gag esilaranti, come il detenuto che chiede rifugio ai passanti o il venditore di schiavi al mercato delle pulci. Loy creatore di una banalità del bene che sorride segretamente dietro allo specchio e lo fa assieme al telespettatore divertito, al quale, con gli scampoli dei materiali di quelle trovate e dei personaggi incontrati nelle sue candid camera regalerà film come Pacco, doppio pacco contropaccotto, Caffè Express e Scugnizzi. Dopo l’impatto nazionalpopolare avuto con la tv si rituffa nel suo cinema. Nel ’67 esce con il più autobiografico dei suoi film, Il padre di famiglia. Sullo stesso set si ritrova a guidare Nino Manfredi (con cui aveva già fatto Made in Italy) e Ugo Tognazzi che poi dirigerà nella seconda “staffetta monicelliana”, Amici miei atto III. Il quarto moschettiere della risata (con Gassman, Manfredi e Tognazzi, tutti presenti nella sua filmografia), Alberto Sordi, tornò protagonista con Nanni Loy che gli cucì addosso un ruolo drammatico in Detenuto in attesa di giudizio (1972). Film-denuncia che a Sordi valse l’Orso d’Argento come migliore attore al Festival di Berlino e a Loy la conferma di aver sempre perseguito, con il suo “neorealismo di fondo”, un cinema dal forte impegno civile. Detenuto in attesa di giudizio rivisto oggi non può che far pensare al dramma giudiziario di Enzo Tortora. Loy è stato un attento indagatore di tutti i casi umani che lo porteranno, nel ’77, nel pieno degli anni di piombo, a viaggiare e a provocare nuovamente con la telecamera nascosta, salendo sui vagoni di Viaggio in seconda classe. Piccoli romanzi popolari (da vedere o rivedere su RaiPlay) per il piccolo schermo, in cui il popolo è protagonista e giudice sovrano, come sempre. Perché tutta l’opera di questo fantastico “irregolare” dello spettacolo d’arte varia esigeva a suo dire «il collaudo del pubblico, la severità del pubblico, e magari anche la sua grossolanità, nel nostro mestiere sono indispensabili, un esame da superare». Prima di andarsene per sempre, il 21 agosto 1995, Nanni Loy stava per superarsi con il progetto de Il mio amico selvaggio. Si trattava della storia vera dell’amicizia fra un ras etiope e il piccolo figlio di un podestà ai tempi della Campagna dell’Africa Orientale italiana. All’allora giovane Gianni Virgadaula, al quale disse che per quel film l’avrebbe chiamato a fargli da secondo aiuto alla regia,  confessò con orgoglio: «Dopo sei mesi, sono riuscito a convincere Sydney Poitier a interpretare il ruolo del ras». L’ultimo suo sogno, è  rimasto un film, incompiuto, ma forse ancora realizzabile da qualcuno dei suoi tanti allievi della nobile “scuola Loy.

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