giovedì 29 luglio 2021
Nell’estate di ottanta anni fa il vescovo di Münster pronunciò le sue infuocate omelie contro i nazisti. Con il pieno sostegno di Pio XII, che lo creò cardinale
Von Galen, l'anima retta dell'«altra» Germania
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«Hai tu, ho io il diritto alla vita soltanto finché siamo produttivi? Finché siamo ritenuti produttivi da altri? Allora guai a tutti noi quando saremo malati o vecchi! No… con coloro che consegnano persone innocenti, nostri fratelli e sorelle alla morte, con questi assassini che calpestano orgogliosi le nostre vite, non posso più avere comunanza di popolo! Il loro Dio è il ventre!». È con questa predica sul quinto comandamento del 3 agosto di ottant’anni fa, in pieno totalitarismo nazista, che il vescovo Clemens August von Galen, dal pulpito tedesco del duomo di Mün-ster, smascherando il piano di sterminio delle “vite improduttutive” raggiunse l’apice del suo battersi per la giustizia e la dignità dell’uomo. E non solo la popolazione tedesca di ogni fede e razza accolse con grande riconoscenza la forza, a viso aperto, delle sue parole. «Il vescovo ha scelto bene il momento per farsi avanti con tanto coraggio. Non occorre pertanto che assicuriamo espressamente te e i tuoi confratelli che vescovi i quali, come il vescovo von Galen, intervengono con un tale coraggio e con una tale irreprensibilità, troveranno sempre in noi appoggio ». Con queste parole di gratitudine e di piena approvazione, Pio XII, scrivendo il 30 settembre 1941 al vescovo di Berlino, Konrad von Preysing, commentava così la predica dal duomo di Münster in quell’estate del ’41, «l’attacco frontale più forte sferrato contro il nazismo in tutti gli anni della sua esistenza», come la definì il ministro del Reich per la Propaganda Goebbels. E quanto l’intrepida azione del Leone di Münster e «la forza della sua protesta» fossero state di consolazione a papa Pacelli lo dice il fatto che quelle famose prediche, Pio XII volle leggerle personalmente persino ai suoi familiari. Questo risulta dagli atti della causa di canonizzazione del presule tedesco. Pio XII aveva conosciuto personalmente von Galen già negli anni in cui era stato nunzio in Germania. E il carteggio tra il 1940 e il 1946 tra papa Pacelli e il vescovo di Münster – che ho potuto ri- costruire per la prima volta in forma integrale e tradotto in italiano nel 2006 per le edizioni San Paolo – viene a siglare un rapporto di mutua fiducia, documentando uno stretto legame e una convergenza di vedute. Anche riguardo alla colpa collettiva che gli alleati vollero infliggere alla Germania. In occasione del primo pellegrinaggio dopo la guerra che la popolazione di Münster compì il 1° luglio 1945 al santuario mariano di Telgte, von Galen sollevò pubblicamente una dura protesta per il comportamento del governo militare alleato che non faceva rispettare i diritti del popolo tedesco. Galen aveva deplorato la prassi devastante del moral bombing( come Churcill aveva definito il concetto di strategia della «giusta guerra dell’aria, destinata a redimire la morale attraverso l’abbattimento sistematico della resistenza morale dei tedeschi») che, in un’agonia di fuoco, portò alla cancellazione dell’intero Paese. Anche Münster era stata battezzata dal fuoco alleato con una pioggia di bombe dirompenti e incendiare, con l’ordine di colpire i civili, che rase al suolo l’intero centro storico, duecento chiese della diocesi, compreso il duomo, compresa la residenza del vescovo. Von Galen ebbe salva la vita quasi per miracolo, rimanendo aggrappato all’unica parete rimasta in piedi tra le rovine in fumo. Anche in quella occasione le sue parole colpirono nel segno e venne chiamato a renderne conto davanti al comando militare alleato al quale replicò, menzionando in particolare le aggressione contro i civili, che avrebbe agito proprio come agì contro le ingiustizie del nazionalsocialismo. Il 4 novembre scrive a Pio XII comunicandogli le catastrofiche condizioni in cui versava la città di Münster e il dolore per le vittime del bombardamento alleato. Il 20 agosto 1945 scrisse ancora a papa Pacelli riguardo alla colpa collettiva che si voleva imputare all’intero popolo tedesco: «Persino i nuovi giornali tedeschi diretti dalle forze d’occupazione debbono pubblicare di continuo dichiarazioni che vogliono imputare all’intero popolo tedesco, anche a quelli che mai hanno reso omaggio alle erronee dottrine del nazionalsocialismo, e che anzi secondo le proprie possibilità vi hanno opposto resistenza, una colpa collettiva e la responsabilità per tutti i crimini commessi dai precedenti detentori del potere ». E constatando come «questa disposizione d’animo sia il fondamento per l’ammissione di campagne di rapina, di violenze, di saccheggio», in modo molto chiaro aveva affermato: «È veramente terrificante che il nazionalismo esasperato culminante nel culto della razza proprio del nazionalsocialismo domini oggi anche tra i vincitori, a tal punto che a Potsdam si è deciso di espellere l’intera popolazione tedesca dai territori assegnati alla Polonia e alla Cecoslovacchia e di ammassarli nei territori occidentali». Alla vigilia di Natale del 1945 Radio Vaticana comunicò la notizia che Pio XII aveva nominato cardinale il vescovo von Galen. A Roma l’arrivo del Leone di Münster era stato trionfale. Gli studenti della Pontificia Università Gregoriana lo avevo accolto al grido di «vox populi vox Dei». In San Pietro il Papa gli conferì la dignità cardinalizia insieme ad altri due vescovi tedeschi che si erano distinti nel fronteggiare il terrore nazista: l’arcivescovo di Colonia Joseph Frings e il vescovo di Berlino Konrad von Preysing. Per l’episcopato e il popolo tedesco quelle nomine erano la dimostrazione che Pio XII non era disposto a partecipare alle voci di coloro che in quei tempi erano «incline a considerare tutti i tedeschi un gruppo di delinquenti» e al tempo stesso erano «il segno di un giusto premio per la resistenza coraggiosa che uomini come questi avevo fatto, e tra di essi, il primo posto spettava al vescovo von Galen». La stampa, dunque, riportava ciò che era a tutti evidente: von Galen aveva osato attaccare frontalmente il regime, egli era il simbolo di quel-l’altra Germania che aveva resistito a Hitler. E nel conferimento della dignità cardinalizia ad personam da parte di Pio XII vedeva il rifiuto della colpa collettiva e «la riconoscenza per il virile difensore della verità cristiana e dei diritti inalienabili dell’uomo che nello Stato totalitario dovevano essere estirpati»'. Nell’ultimo discorso pronunciato a Münster, il 16 marzo dopo il suo rientro da Roma, davanti a una folla di cinquantamila persone assiepata sulle macerie antistanti il duomo, il vescovo volle ancora ricordare il legame che lo aveva stretto alla sua gente negli anni bui del nazismo: «Mio diritto e mio dovere era quello di parlare, e ho parlato, per voi, per le innumerevoli persone che con me sentivano dolorosamente che la verità di Dio e la dignità umana venivano messi da parte, disprezzati e calpestati… sapevo che molti avevano sofferto gravi pene in quelle persecuzioni della verità e della giustizia che abbiamo sperimentato. Non potevano parlare, potevano solo soffrire». Il 6 gennaio del ’46 il vescovo von Galen aveva scritto anche l’ultima lettera a Pio XII prima di giungere a Roma per ricevere la berretta cardinalizia. Quel giorno volle celebrare l’Epifania nelle rovine del santuario di Telgte. E con queste parole chiuse l’omelia: «Sotto il nazismo dissi pubblicamente, e lo scrissi direttamente anche a Hitler nel ’39, quando nessuna potenza intervenì allora per ostacolare le sue mire espansionistiche: “La giustizia è il fondamento dello Stato; se la giustizia non viene ristabilita, allora il nostro popolo morirà per putrefazione interna”. Oggi devo dire: se tra i popoli non viene rispettato il diritto, allora non verrà mai la pace e la concordia tra i popoli».

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