venerdì 16 febbraio 2024
Le macchine producono contenuti attraverso associazioni statistiche: possono davvero produrre "significato" in assenza di intenzionalità?
L'interpretazione dei contenti prodotti dalle IA è un altro problema che viene sollevato sul rapporto uomo-macchina

L'interpretazione dei contenti prodotti dalle IA è un altro problema che viene sollevato sul rapporto uomo-macchina - WikiCommons

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L’avvento delle IA, indissolubilmente legato al digitale, il contenitore e processo che ne rende possibile l’esistenza, offre occasioni di riflessione inesauribili. Data la morfologia particolarmente infiltrante e proteiforme di questo magma onnicomprensivo che eleva l’evento linguistico a sostanza di ogni fenomeno che immaginabile, non è dato contesto o dimensione che ne sia esente, concetto, dogma, teorema o espressione la più pragmatica del mondo materiale, come siamo abituati a pensarlo. Naturalmente, dell’esercizio compulsivo che rielabora continuamente teorie dalle più bislacche alle più analitiche e circostanziate, rimarrà ciò che sopravvive alla verifica del tempo, non necessariamente ciò che oggi riteniamo perfettamente logico e domani potrebbe rivelarsi la fantasia di una prospettiva falsata.

Qualche giorno fa ho letto un articolo che recitava più o meno così: «Per le IA i contenuti non sono altro che il risultato di associazioni statistiche». E fino a qui si tratta di pura pratica dell’ovvio. Il seguito, sia pure arbitrario, era più interessante: «Se i contenuti prodotti non hanno significato per le IA possono comunque averlo per noi». L’acquisizione di un significato postumo all’aggregarsi della struttura che dovrebbe custodirlo, l’enunciato, la frase, l’affermazione, la rilettura di dati e così via, è una eventualità intrigante ma estremamente controversa. La prima considerazione è che il significato non nasce per generazione spontanea, se c’è qualcuno lo avrà messo, oppure esisteva in sé, quindi se una articolazione di eventi linguistici generata dalle IA nasce priva di significato non lo può acquisire in seguito. Il tutto suona troppo semplicistico e un po’ romantico. Le conseguenze di questa affermazione contemplerebbero la possibilità che esistano porzioni del reale prive di significato, visione che sottende l’elezione di porzioni di esistente a discapito di altre, come se il mondo fosse stato concepito in termini di prodotti di qualità e prodotti di scarto.

È evidente che bisogna intendersi sul termine “significato”. Innanzitutto serve liberarsi da qualunque accezione didascalica, salvifica, devozionale, strumentale, funzionale del termine. Ciò che esiste significa per definizione in quanto è, che cosa voglia dire è tutto da vedere naturalmente. Il suo “non significare” qualcosa per il mezzo che ne è tramite di affioramento alla realtà è inincidente: se un contenuto non è prodotto dalle IA attraverso l’intenzione di significare, questo non rappresenta un vulnus per il suo avere un senso in termini assoluti. Se è, significa. Potrebbe sembrare che io vada nella medesima direzione del postulato elementare di quell’articolo: ciò che producono le IA è privo di significato ma noi glielo possiamo inoculare in seconda o terza battuta. A prescindere dalla totale assenza di ratio in una operazione del genere, ipotetico scambio illusionistico di ruoli in cui ce la cantiamo e ce la suoniamo, per così dire, semplicemente le cose non stanno così. Di fatto se alla IA è preclusa, come è preclusa, ogni coscienza del contenuto, allo stesso modo a noi è preclusa la possibilità di infondere significato a qualsivoglia dato di realtà. Noi viviamo nel significato che ci contiene e ci struttura senza intendere con questo nulla di necessariamente escatologico o metafisico, il significato è semplicemente la giustificazione che nasce con la realtà stessa, dentro la realtà stessa, la permea e al tempo stesso la compone. Per significato non si deve intendere questa o quella interpretazione, questo o quel punto di vista, tutti effetti a cascata di un nucleo di fatto indisponibile, ragione d’essere, a priori impenetrabile. L’articolo, nello specifico, riguardava contenuti religiosi dati in pasto alle IA al fine di ottenere una sorta di mistica generativo-stocastica che dovrebbe avere poi un senso per chi la interroga. Così facendo si finisce per trasformare il luogo in una mappa privandolo di ogni incanto, dimenticando che la topografia dello spirito è indisponibile alle carte e frequenta una unica dimensione: l’incontro. Essere al passo coi tempi non è scimmiottare evidenze a cui non si è in grado di replicare in modo autenticamente originale.

L’avventura IA che è sulla nostra strada impone innanzitutto di ridefinire la nostra intelligenza, il nostro senso critico a cui la planimetria di superficie delle belle frasi non può e non deve bastare, a cui è richiesto di distinguersi dal doppio artificiale, imitazione e prosecuzione, estensione e limite, e, perché no, significato.

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