mercoledì 17 maggio 2017
In un libro il Professore rilancia la sua proposta per uscire dalla crisi e fare dell'equità sociale l'asse dello sviluppo. Ridurre le disuguaglianze come occasione di crescita
La ricetta di Romano Prodi: «Redistribuire il futuro a chi non ce l'ha»
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Romano Prodi ha una larga esperienza della società italiana. Oggi la scruta, vede un «senso di angoscia » che accomuna vecchi e giovani e sentenzia: «Il declino della speranza è il peggiore dei mali sociali! ». La situazione è grave in particolare per i giovani: si rischia la perdita di un’intera generazione, con quasi 3 milioni di 'Neet', persone che non lavorano né studiano. È intitolato anche per questo Il piano inclinato (il Mulino, euro 13; da domani nelle librerie, sarà presentato il 24 maggio a Modena e il 6 giugno a Bologna) il libro che il due volte ex premier ha scritto, frutto di una conversazione a domande e risposte con Giulio Santagata (suo storico collaboratore ed ex ministro nel biennio 2006-08, nonché consigliere delegato di Nomisma) e un altro studioso dell’istituto bolognese, Luigi Scarola.

Un volume agile (156 pagine) che esce con una perfetta scelta di tempo: proprio il fine settimana scorso il G7 finanziario a Bari è stato dedicato, fra gli altri temi, alla «crescita inclusiva». Ormai da anni il dibattito, in Europa e ancor più in Italia, ruota attorno alla domanda-chiave: perché l’economia cresce così poco? Da economista qual è il Professore è giunto alla conclusione che, al di là del «crollo della politica europea» e dei vincoli Ue, la crescita si può ritrovare passando per una via negli ultimi decenni trascurata: una più efficace lotta alla povertà e a quelle disuguaglianze sociali che, invece, sono aumentate. L’aver sganciato questi due aspetti è una trappola «che ha reso le nostre società più ingiuste».

Il fondatore dell’Ulivo stila allora un elenco di proposte sul piano nazionale che, se avesse ancora ambizioni politiche, suonerebbe come un vero “programma di governo”. Ma può anche essere un “contributo operativo” per il centrosinistra che verrà. Si va dal ripristino della tassa di successione per farla diventare una tassa di scopo con cui finanziare il diritto allo studio, a un servizio civile per i giovani (tema peraltro appena tornato d’attualità) obbligatorio e agganciato alla formazione professionale, dalla creazione di una “pensione di base” da 700 euro circa (coperta con la fiscalità generale, cioè con le tasse pagate dai contribuenti) con contestuale allineamento al 27% dei contributi versati per ogni tipologia di lavoro fino all’idea di un fondo immobiliare, pubblico o “misto”, che compri dalle banche le case degli italiani che rischiano di perderla per il mutuo non pagato.

L’idea della pubblicazione è nata, per dirla con le parole di uno dei co-estensori, Santagata, «nell’onda di quel filone di teoria economica avviato da Thomas Piketty (l’economista francese autore anche di Disuguaglianze, ndr). Ne cominciammo a discutere, l’interpretazione di Prodi è che il pensiero economico non si è ancora accorto adeguatamente del rapporto fra disuguaglianza e crescita. È ora di farlo». Muovendo dalla considerazione che la lotta alla povertà «rimane un obiettivo eticamente irrinunciabile», secondo Santagata diventa «vitale recuperare un ruolo alla classe media, che sta scivolando sempre più verso la povertà, il che pone a lungo andare un problema anche politico».

Il filo rosso è la “destrutturazione” che ha colpito in questi anni il lavoro. Annota Prodi: «Da principale elemento di coesione e di sviluppo sociale, diviene il veicolo di trasmissione del virus dell’esclusione» e contribuisce all’«insoddisfazione sociale». E, quindi, a quello “stato d’animo” che alimenta le forze populiste. Un processo parallelo, e non meno pericoloso, è quello rivolto a mettere in discussione nei cosiddetti paesi avanzati, anche per i tagli alla spesa pubblica, la grande conquista del XX secolo, il welfare: in presenza di ticket più pesanti e a minori servizi nella sanità e nella scuola la gente non s’indigna più come vent’anni fa, «sembra prevalere la rassegnazione, oggi sono accettati come un’evoluzione quasi inevitabile ».

Davanti a questi fenomeni epocali, il problema non è la globalizzazione in sé, quanto il fatto che il suo sviluppo «ha protetto il capitale più del lavoro». E ha prodotto un duplice effetto: una «deflazione dei diritti» nel resto del mondo e una crescente «interdipendenza» nel pianeta. Dopo l’approfondita analisi, la parte ancor più interessante di questo lavoro sta nelle idee pratiche. C’è un menù di cose che si possono fare. «È sempre più vero che ricchi non si diventa ma si nasce», argomenta l’ex capo del governo, convinto che una riscrittura di questa imposta possa recuperare 1,5 miliardi in più rispetto a oggi. Soldi necessari, a esempio, per finanziare quel “nuovo” servizio civile che, proprio in quanto finalizzato all’affinamento di qualifiche professionali, andrebbe retribuito.

Altra priorità è l’ulteriore riduzione del cuneo contributivo per il lavoro dipendente. «È ora di affrontare – scrive Prodi – la grande sfida dell’unificazione dell’aliquota contributiva per tutte le forme di lavoro (precario, autonomo, dipendente, ecc.) e nel contempo evitare che la riduzione della contribuzione si traduca in una riduzione del livello delle pensioni di fascia media e bassa ». Un equilibrio ovviamente «difficile da trovare» e per realizzare il quale vanno tentati esercizi forse un po’ azzardati. Il Professore indica una soluzione che avrebbe anche la caratteristica di essere equivalente «a una svalutazione competitiva per le nostre imprese», senza ricadere nei retaggi di un neo-protezionismo: «Si potrebbe pensare all’introduzione di uno zoccolo pensionistico retto dalla fiscalità generale e abbinato a un’ampia riduzione delle aliquote contributive». L’obiettivo sarebbe doppio: avere pensioni non inferiori a 700 euro, inoltre «rafforzare il reddito disponibile della componente lavoro». Sarebbe un piano da 13 miliardi di euro, ma lo Stato ne recupererebbe circa 3 attraverso l’Iva sui maggiori consumi procurati dal maggior reddito, calcola Prodi che insiste molto sul concetto di «redistribuzione» ma in una versione alternativa alla politica dei bonus praticata da Renzi.

Tema da non sottovalutare è quello immobiliare: sono circa 250mila le famiglie che si trovano a rischio di vedere la casa pignorata dalla banca creditrice. Le banche, quindi, «oggi si accingono a cedere a finanziarie specializzate i loro “mutui incagliati” a valori che superano di poco il 20%». Le conseguenze? Semplici quanto tragiche: «Un disastro per le banche e un disastro per le famiglie che si troveranno senza casa». Da qui l’idea di far loro «cedere l’immobile in cambio dell’immediata estinzione del debito e di un contratto d’affitto di lungo periodo a un canone molto modesto». Non manca, infine, un’analisi dedicata a un’altra pagina che ha dilaniato il centrostinistra: «L’indebolimento dei corpi intermedi – scrive ancora Prodi – non può essere una risposta accettabile». Il Professore, che indica come modello il sindacato tedesco (che più di tutti ha saputo coniugare gli interessi di rappresentanza con quelli dei singoli lavoratori), non fa sconti alle organizzazioni nostrane, bisognose di «profondi processi di revisione». Ma ricorda pure che la flessibilità del lavoro «non ha portato a quell’età dell’oro che si prevedeva e nemmeno agli aumenti di produttività».

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