giovedì 23 novembre 2023
Nella prefazione all’edizione critica di “Illustrissimi” il cardinale Tolentino accosta il beato e Pasolini. Entrambi denunciarono l’omologazione della società
Papa Giovanni Paolo I

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Pubblichiamo la prefazione del cardinale José Tolentino de Mendonça al volume Illustrissimi. Lettere immaginarie, edizione critica curata da Stefania Falasca (Edizioni Messaggero di Padova, pagine 508, euro 35,00) della silloge di 40 lettere immaginarie scritte da Albino Luciani, futuro papa Giovanni Paolo I, a personaggi di ogni epoca edita nel 1976.

Non deve sorprendere che venga riconosciuta a Illustrissimi la categoria di classico, la forma forse più adeguata per riferirci a questo libro – anche tenendo in conto che la destinazione iniziale dei testi in esso raccolti erano in alcuni casi le pagine di un quotidiano, “Il Gazzettino”, di una rivista poi, il “Messaggero di sant’Antonio”, e che quando Albino Luciani cominciò, nel maggio 1971, la collaborazione con questo mensile di Padova non poteva di certo prevedere il ruolo cruciale che questo insieme di scritti avrebbe avuto non solo per il suo personale percorso ma anche per il cattolicesimo contemporaneo. Il fatto curioso è che ciò che potrebbe essere considerato un punto di debolezza diventa, al contrario, uno degli evidenti punti di forza di quest'opera. Sappiamo bene che il genere di scrittura di un giornale diverge dal carattere monografico o sistematico tipico dei saggi di ampio respiro, ma questo non necessariamente significa una condanna alla dispersione. La modernità lo dimostra chiaramente in molte opere prime letterarie, dove il regime di espressione è frammentario, eteroclito e discontinuo, senza che venga però sacrificato in alcun modo il sorprendente potere della loro unità. In questo senso, Luciani è un moderno.

Accetta di comunicare a partire da un pulpito e da un formato non convenzionali (è un vescovo che, dice ironicamente, si assume uno «strano impegno»). Accetta di conversare non solo all’interno del recinto del sacro, ma sulla pubblica piazza, nel territorio aperto della cultura, reputando che la conversazione, questa sorta di sermo humilis accessibile a tutti, «è una gran bella cosa per la nostra vita di poveri uomini». Accetta che l'arte dell'incontro si intessa nella capacità di costruire intersezioni, di mettere in relazione mondi e tempi diversi, di farsi contemporanei. A ragione Sainte-Beuve ricordava che «un vero classico» è quello che arricchisce lo spirito umano e gli consente «di fare un passo in avanti [...] dove tutto sembrava conosciuto ed esplorato», ma che lo fa adottando «uno stile tutto suo, che è anche quello di tutti, uno stile nuovo senza neologismi, nuovo e antico, facilmente contemporaneo di tutte le epoche». Questa “facilità”, tuttavia, non deve essere fraintesa. L’espressione «il Papa del sorriso», che si farà poi ricorrente per evocare il beato Giovanni Paolo I – e la cui presenza in Illustrissimi è già così evidente –, si spiega non solo come esercizio di bonarietà, ma soprattutto come coscienza che la verità va esposta delicatamente, secondo il modello proposto da sant'Agostino. Non è per caso che, come scrive Stefania Falasca – la più importante conoscitrice della sua opera, a cui dobbiamo gli studi sulle fonti per l’edizione critica di Illustrissimi – il suaviter agostiniano «diviene il mot-clé significativamente ricorrente negli scritti (di Giovanni Paolo I) proprio in quanto riflesso dell’animus stesso dell'autore nei confronti dei suoi interlocutori, come disposizione verso di essi». La simpatia di Luciani è un metodo spirituale deliberato, praticato con intelligenza perseverante, credibilmente assunto come filosofia di vita. In Essenza e forme della simpatia (1923), Max Scheler aveva chiarito il ruolo privilegiato che questa assume nella costruzione di un’esperienza comune eticamente qualificata. La simpatia è una forma di ospitalità, di partecipazione, di risposta responsabile all’altro, di condivisione di destini. Per riprendere le parole di papa Francesco, essa in questo modo si distanzia dal «moralismo che giudica» e si fa prossima alla «misericordia che abbraccia». Ricorre coraggiosamente al «co-sentire» come legante della comunione possibile nel polifonico e differenziato orizzonte delle culture e delle relazioni.

È qui, credo, che va inscritto l’inventivo ricorrere di Luciani alla letteratura. È una scelta che agli occhi di molti sarà suonata come insolita, per non dire stravagante. Questo ben traspare, per esempio, nella lettera indirizzata a Gesù che conclude il volume: «Caro Gesù, mi sono preso delle critiche. “È vescovo, è cardinale – è stato detto –; si è sbracciato a scrivere lettere in tutte le direzioni: a M. Twain, a Péguy, a Casella, a Penelope, a Dickens, a Marlowe, a Goldoni e non si sa a quanti altri. E neppure una riga a Gesù Cristo». Chiaramente, questo ultimo «neppure una riga a Gesù Cristo» è da leggersi con grande ironia. Illustrissimi è un testo cristianissimo, sostenuto da passi biblici decisivi, ricamato di citazioni dei Padri della Chiesa, di filosofi e maestri spirituali cristiani. Ma il futuro Giovanni Paolo I ha la lucida coscienza che una delle sfide fondamentali lanciata alla Chiesa contemporanea è di natura culturale. Quando scrive «l’epoca attuale, religiosamente debole, va presa con metodo adatto», sta emettendo una certa diagnosi e al tempo stesso arrischiando vie nuove, con freschezza, giovinezza e audacia. Per questo non si lascia addolorare da quella che, nell’Esortazione apostolica Evangelii gaudium (n. 50), papa Francesco dice essere una delle patologie del presente: «un “eccesso diagnostico”, che non sempre è accompagnato da proposte risolutive e realmente applicabili».

Cos’è il compito del cristianesimo dopo la frattura della modernità? Lo ribadisce Luciani nella lettera a Gilbert K. Chesterton: è urgente inginocchiarsi non davanti a quel Dio che «dalla secolarizzazione viene chiamato “morto”», ma «davanti a un Dio più attuale che mai». Questo però richiede la saggezza di capire come il «punto di vista» si sia culturalmente complessificato. È perciò una responsabilità gravissima della Chiesa riattivarne processi culturali che sfocino nella creazione di codici e chiavi di lettura ermeneuticamente consistenti e vitali. Per questo abbiamo bisogno della letteratura, non come di un ornamento gradevole ma tutto sommato superfluo, bensì come di una struttura portante del nostro stare al mondo e della irrinunciabile responsabilità che il cristianesimo porta, come sosteneva Luciani, di «far riflettere!».

In questa prospettiva, non è strano che Albino Luciani sia un vescovo, e poi un papa, «che cita Mark Twain!». Non è uno sminuimento il suo mettersi a scrivere lettere a Pinocchio o ai Quattro del Circolo Picwick. Né deve sconcertarci l’incisivo commento che dalle pagine del “Corriere della Sera” il critico letterario Carlo Bo fa a Illustrissimi, accostando Luciani «più a Goldoni che a Manzoni», poiché non si tratta di una diserzione, ma di un’utilissima estensione di campo.

Un elemento curioso della storia editoriale è che quello stesso anno, il 1976, furono pubblicati due singolari epistolari: Illustrissimi. Lettere del Patriarca di Albino Luciani, e Lettere luterane di Pier Paolo Pasolini. Li accomuna l’essere entrambi una straordinaria sorta di sismografo. Pasolini metteva in guardia dalla svolta antropologica promossa dalla società dei consumi e portata a termine dallo spietato sbancamento messo in opera dai suoi processi sociali e culturali di omologazione. Quello di Pasolini è un libro-denuncia. In un certo senso fa risaltare l'originalità del libro di Luciani, che non si sottrae a una lettura critica della realtà, ma inquadrandola in un orizzonte differente, necessariamente dilatato, sorprendentemente convocato alla redenzione, poiché Dio non desiste dal cercare l'Essere Umano. Nella visione del beato Giovanni Paolo I è sempre possibile ritornare a Lui, perché il suo è «un convito sempre imbandito e aperto a tutti».

Nella sua definizione di “classici”, Italo Calvino scrive che «un classico è un libro che non ha mai finito di dire quel che ha da dire». È questo, senz’ombra di dubbio, il caso di Illustrissimi. Ben merita che se ne nutrano nuove generazioni di lettori.

Il Magistero di Giovanni Paolo I alla luce della sua biblioteca

​​Una ricca biblioteca vissuta come officina di lavoro. Un patrimonio che in origine contava 5mila volumi e che si era in parte disperso dopo la morte di papa Luciani. Ora rivive grazie all’opera di ricostituzione portata avanti dalla Fondazione vaticana Giovanni Paolo I, che sarà presentata domani, venerdì 24 novembre, dalle ore 9 alle 12.30 presso l’Aula Magna della Pontificia Università Gregoriana. Occasione del convegno “Il magistero di Giovanni Paolo I alla luce della sua biblioteca” è l’uscita dell’edizione critica di Illustrissimi - silloge di 40 lettere immaginarie a personaggi di ogni epoca edita nel 1976. Del volume, curato da Stefania Falasca (Edizioni Messaggero di Padova, pagine 508, euro 35,00) pubblichiamo la prefazione del cardinale José Tolentino de Mendonça. Dopo i saluti istituzionali – aperti dal Rettore della Pontificia Università Gregoriana, P. Mark A. Lewis sj, dal Presidente della Fondazione, cardinale Pietro Parolin e la firma del Protocollo d’intesa tra la Fondazione e la Pontificia Università Gregoriana – il convegno, coordinato dal prof. Fabio Pierangeli, docente di Letteratura italiana presso l’Università degli studi di Roma Tor Vergata, prende avvio dai lavori compiuti per il recupero della biblioteca di Luciani con la proiezione di un video e l’intervento di don Diego Sartorelli, direttore della Biblioteca diocesana “Benedetto XVI” e dell’Archivio storico del patriarcato di Venezia. A partire dalle fonti bibliografiche il prof. Mauro Velati si soffermerà sulla formazione teologica e spirituale di Luciani, mentre il prof. Gilfredo Marengo, del Pontificio Istituto Teologico Giovanni Paolo II, indagherà la connotazione narrativa nella visione pastorale di Luciani. L’attenzione sarà poi rivolta all’opera Illustrissimi. Lettere immaginarie, emblema dello stretto dialogo tra le carte e i libri della biblioteca personale. Grazie al decennale lavoro di ricerca e allo studio sulle fonti si è reso possibile prendere atto in modo diretto della genesi delle lettere immaginarie della raccolta che per la prima volta viene presentata in edizione critica con l’apparato delle note e delle varianti a cura della dott.ssa Stefania Falasca, vicepresidente della Fondazione Vaticana Giovanni Paolo I. «Sermo humilis e referenze letterarie negli scritti di Luciani: il caso Illustrissimi» è l’intervento di Stefania Falasca, che a riguardo conseguì il dottorato di ricerca in italianistica presso l’ateneo di Tor Vergata portando a riflettere sulla scelta teologica del sermo humilis e la particolare familiarità con la dimensione letteraria quale canone caratterizzante l’intera produzione orale e scritta di Luciani. «“Tutti costoro si muovono nel villaggio”: la comunità dei personaggi letterari nelle lettere di Illustrissimi» è invece l’originale tema che verrà affrontato dalla prof.ssa Cristiana Lardo della cattedra di Letteratura italiana dell’Università degli studi di Roma Tor Vergata. A conclusione, il dialogo sulla strategia linguistica di Albino Luciani tra il prof. Fabio Pierangeli e il ricercatore dott. Simone Martuscelli, vincitore del bando promosso dall’Università di Tor Vergata e sostenuto dalla Fondazione per uno studio riguardante la formazione letteraria attraverso il materiale librario acquisito e ora pubblicato dall’editore Marcianum Press - Gruppo Editoriale Studium dal titolo: Soave e Piano. Il discorso letterario nel magistero di Albino Luciani. Il saggio, incrociando uno studio sui volumi chiosati presenti nella biblioteca di Luciani con un’attenta lettura della sua opera, ricostruisce la strategia linguistica che attraversa l’intero arco della sua predicazione. (R.A.)


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