lunedì 8 giugno 2015
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Dopo il Cristo operaio dei socialisti del XIX secolo avremo il Cristo verde degli ecologisti del XXI secolo? Il raffronto è molto più pertinente di quanto non immaginino i beffardi o gli scettici, perché ha come sfondo la stessa invasione della supremazia del denaro, lo stesso fiorire del capitalismo moderno fondato su uno sfruttamento spudorato dell’uomo e della natura.Il potere assoluto dell’uomo sulla natura è esattamente quello che ha esaltato Cartesio, distorcendo l’insegnamento biblico. Perché, in queste condizioni, dovremmo meravigliarci che, presso gli ecologisti di oggi come presso i socialisti di ieri, la rivolta umanista ricorra alla rivoluzione cristiana per trarne risorse e trovare in Cristo il motore decisivo affinché ogni oppressione sia ridotta fino a sparire nell’orizzonte della parusìa, quella parusìa che i socialisti hanno imprudentemente secolarizzato e alla quale i cristiani ridonano il suo vero volto al di là dei tempi?È inoltre necessario che il Cristo ecologista sia effettivamente proposto ai nostri giorni dalla Chiesa e non, come avvenne nel XIX secolo per il Cristo socialista, dagli avversari della Chiesa. È stato necessario un secolo, da Leone XIII a Giovanni Paolo II, perché l’insegnamento sociale cristiano raggiungesse il meglio dell’insegnamento socialista storico. Il Cristo ecologista dovrà conoscere un ritardo altrettanto lungo? Se si considerano gli interventi di Giovanni Paolo II nell’arco di più di 25 anni, sembra di no.È stato papa Wojtyla a parlare esplicitamente di una «conversione ecologica» e, in numerosi messaggi troppo poco conosciuti, ha richiamato tutti gli uomini e in particolare i cristiani a metterla in pratica. In ecologia, come in tutto, egli predicava il Cristo origine e fine di tutte le cose. Fondamentalmente legato a san Paolo, il suo pensiero illuminava l’avvenire dell’uomo e l’avvenire del mondo l’uno attraverso l’altro. È in questa unità della creazione che egli vedeva la realizzazione religiosa della salvaguardia temporale e della salvezza eterna dell’universo.Il Cristo verde non ha ancora i discepoli che desidera e che Giovanni Paolo II ha convocato attraverso l’invito alla conversione, seguito in questo dal suo successore Benedetto XVI, del quale non si ripeterà mai abbastanza l’affermazione scritta già quand’era cardinale: «Mi pare chiaro che anche noi dobbiamo recuperare questo sguardo cosmico, se vogliamo tornare a comprendere e vivere l’avvenimento cristiano in tutta la sua ampiezza e profondità». Il Cristo verde è un Cristo cosmico, colui che l’apostolo Paolo ha proclamato non soltanto agli uomini, ma a tutte le cose sotto il cielo e sulla terra.Nella Lettera ai Colossesi, Paolo sviluppa in modo solenne l’immagine fondatrice e riassuntiva di Cristo: «Primogenito di tutta la creazione, perché in lui furono create tutte le cose» e «per mezzo di lui e in vista di lui siano riconciliate tutte le cose» (Col 1,15-20). Nella Lettera ai Romani, Paolo emette la sua famosa, commovente esclamazione: «La creazione infatti è stata sottoposta alla caducità […] nella speranza che anche la stessa creazione sarà liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio. Sappiamo infatti che tutta insieme la creazione geme e soffre le doglie del parto fino ad oggi» (Rm 8,19-22).L’insegnamento del Nuovo Testamento è esplicito: uomini e bestie, montagne e stelle, siamo tutti sulla stessa barca. Secondo il disegno iniziale del Creatore tutte le creature hanno diritto allo stesso rispetto, nonostante gli assalti del male procurati a seguito della caduta. Vi è in ciò un’evoluzione che non è stata sufficientemente messa in risalto in rapporto al Primo Testamento. Non si tratta più soltanto, come nei primi capitoli della Genesi corretti dopo la catastrofe del Diluvio, di una sottomissione della natura all’uomo per i bisogni dell’uomo, in cui la destinazione delle altre creature non avrebbe in definitiva altro significato se non il compimento del destino dell’umanità.Questo antropocentrismo più o meno esplicito è deliberatamente scartato dal Vangelo a vantaggio di un cristocentrismo assoluto. Dal Primo al Nuovo Testamento, Dio ha svelato la profondità del suo impegno creatore che mira a ottenere il successo di tutta la creazione, l’innalzamento di tutte le cose nella gloria. I cristiani restano troppo spesso tributari di una concezione utilitaristica della natura che si esaurisce interamente nell’uomo. Il Vangelo non propone una sacralizzazione della creazione, pericolosamente vicina al paganesimo, che rivestirebbe la natura di un prestigio e di poteri di antiche divinità, ma una santificazione che considera in essa il volto di Cristo. Tutte le cose testimoniano il Verbo e sono fatte «per mezzo di lui e in vista di lui», dice ancora l’apostolo Paolo nella Lettera ai Colossesi (1,16).La prospettiva con cui i cristiani oggi si accostano all’ecologia avviene ancora nello spirito del Primo Testamento, deformato e tradito dallo spirito cartesiano e dall’acquisizione prometeica della cultura moderna. Benché finalmente si mobilitino contro i risultati deleteri di questa impresa tirannica, tuttavia non ne mettono in discussione il principio. Non si può che gioire nel vederli militare numerosi contro l’effetto serra, il riscaldamento climatico, la scomparsa delle foreste, la contaminazione del suolo, l’esaurimento delle acque, la riduzione delle biodiversità.Ma in che cosa i cristiani, così facendo, si distinguono dagli altri uomini e apportano una visione originale alla lotta comune? Spesso, di fatto, se oggi i cristiani si decidono a intervenire non è per annunciare la Buona Notizia a tutta la creazione che geme nel dolore. Un cristiano che si interessa di ecologia è qualcuno che si riconosce fratello di tutte le creature, ciascuna nel suo rango e secondo la funzione assegnata dal Creatore. Questo cristiano non le mette tutte sullo stesso piano. La diversità che attribuisce loro non si limita alle modalità della loro incarnazione, ma accetta una gerarchia nei loro ruoli. Esse hanno tutte la stessa dignità, non la stessa responsabilità.
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