venerdì 31 gennaio 2020
L’ex bandiera juventina ha ricevuto il premio che ogni anno viene assegnato ai veri “pensatori” non solo con i piedi. Appesi gli scarpini, l’ex bianconero è editorialista e uomo impegnato in più campi
Claudio Marchisio centrocampista della Juventus dal 2006 al 2018

Claudio Marchisio centrocampista della Juventus dal 2006 al 2018

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Barba curata e occhio celeste chiaro, alla Edoardo Agnelli, giacca di tweed marrone elegante e camicia bianca azzimata, stile Avvocato, piglio sobrio e pacato alla Umberto (Agnelli) e spirito da pensatore sagace, e non solo con i piedi, alla Giampiero Boniperti. Questo è il profilo del piccolo principe del calcio italiano, il “Principino” della Juventus Claudio Marchisio, classe 1986. A 33 anni, la passata stagione dopo aver vinto l’ottavo scudetto di fila (7 con la Juve e l’ultimo con lo Zenit San Pietroburgo) complice l’ennesimo infortunio al ginocchio ha deciso che era il momento di appendere gli scarpini al chiodo. Addio al calcio da hombre vertical, dopo aver combattuto a testa alta 389 battaglie in maglia bianconera e segnato 37 gol. Un nobile guerriero di campo, cresciuto all’accademia militare della Vecchia Signora: lanciato dal condottiero napoleonico Didier Deschamps nella stagione “post-Calciopoli” 20062007, l’unica annata all’inferno della serie B nella storia della Juventus.

Quella di Marchisio invece è la storia celestiale di un predestinato, tecnica e polmoni al servizio anche della Nazionale (55 presenze e 5 reti, vicecampione d’Europa agli Europei del 2012) che, fin dai suoi esordi ha fatto gridare al «nuovo Tardelli». Numero “8”, anche per lui tatuato sulla schiena zebrata. Otto volante, come l’orizzonte infinito che gli si è parato davanti per tre lustri con chiusura obbligata non in Italia, ma nelle notti solo bianche di San Pietroburgo. «Sono nato bianconero e non avrei potuto indossare un’altra maglia in Serie A», ha ribadito il piccolo principe del calcio italico. Per la critica pallonara, il giudizio unanime: «Marchisio è stato il Gerrard italiano ». Paragone rilanciato anche ieri alla Fabbrica del Vapore di Milano dove il Principino è stato premiato nella XXIII edizione “l’Altropallone”.

Il “Pallone d’oro” assegnato ogni anno dalla giura presieduta da Gianni Mura al “calciatore solidale”. Pertanto sulla scia dei precedenti premiati, vedi le “belle bandiere” come Javier Zanetti, i piccoli eroi esemplari tipo Damiano Tommasi (il presidente dell’Assocalciatori è in giuria) e le menti rare e sopraffine prestate al mondo del pallone, modello Lilian Thuram, ecco la motivazione della scelta ricaduta su Marchisio: «Perché è stato uno sportivo attento e aperto al mondo, continuando ad esserlo anche fuori dal campo. Non rinuncia a esprimere le sue idee solidali sul fenomeno dei migranti, sulle disuguaglianze sociali, sull’ecologia, che sono parte integrante della nostra società. Questo coraggio nel far sentire la propria voce lo espone ancor più agli insulti dei leoni da tastiera. Ma lui insiste, testimone di umanità », si legge nella nota corredata dal presidente della Onlus “Altro Pallone”, Gianni Di Domenico e il coordinatore del Premio Michele Papagna. Marchisio, come il suo ex compagno Giorgio Chiellini, è uno che non ha smesso di studiare e di aggiornarsi, e il suo nuovo ruolo è quello di comunicatore che va oltre la Febbre a 90’.

A novembre ha esordito come editorialista (anche Tardelli scrive su La Stampa sul dorso torinese del Corriere della Sera e non per commentare il Var o dare giudizi sul presunto bel gioco della Juve di Sarri. Sarebbe troppo facile e scontato per uno come lui che invece ha pigiato la tastiera per vergare un articolo su Silvia Romano, la cooperante milanese tenuta sotto sequestro in Somalia da un gruppo islamista legato ai jihadisti di Al-Shabaab. «Ho cominciato a esprimere le mie opinioni e in fondo a scrivere i primi articoli sui social, che anche per noi calciatori all’inizio hanno avuto una funzione importante per comunicare qualcosa di più oltre alla prestazione personale e quella della squadra. Ma in questo momento i social a volte diventano un boomerang, si è perso l’equilibrio nei giudizi, e questi possono diventare violenti e nocivi. Il social da funzionale può trasformarsi in un problema sociale».

Marchisio gioca ancora da metronomo del pensiero tutt’altro che debole, nonostante viva e operi a Torino, la città del filosofo Gianni Vattimo. Il Principino è uno dei pochi (ex) calciatori che può tenere testa a chiunque anche lontano da uno stadio, perché è riuscito a liberarsi dalla marcatura stretta di quella «bolla» che imprigiona i calciatori. «Dispiace sentire che tra i calciatori d’oggi e i tifosi si sia creata una grande distanza rispetto al passato. Ma chi è vissuto dentro a quella “bolla” come me sa che è fisiologica e che aiuta a proteggere i calciatori che altrimenti sarebbero sottoposti a una serie di pressioni (mediatiche e non) che gli renderebbe la vita impossibile. A volte ci siamo dimenticati che prima del calciatore viene l’uomo, il padre di famiglia».

La moglie Roberta e i loro due figli (Davide e Leonardo) sono al centro del villaggio umano di Marchisio, che ha sempre avuto come punto di riferimento papà Stefano («se fosse andata male con il calcio mi sarei messo a fare impianti di riscaldamento assieme a mio padre») e mamma Anna. Marchisio cuore di mamma e idolo delle donne, che guarda con interesse «alla meritata crescita del movimento femminile, al quale il presidente della Fifa Gianni Infantino ha promesso maggiori finanziamenti che potranno migliorare ancora di più il livello anche del campionato italiano e delle azzurre». La passata edizione dell’ “Altro Pallone” aveva premiato la capitana della Juventus Women e della Nazionale femminile Sara Gama, quest’anno l’altro riconoscimento della Onlus, l’XI “Premio sPace” è andato invece alle ragazze della SSD Minerva Milano. Una realtà che da dieci anni è impegnata per la parità di genere e l’inclusione sociale, e con il progetto “Tukiki” manda in gol ragazzi e ragazze con disabilità. Marchisio abbraccia uno dei giovani della Minerva, un ragazzo che ha più o meno l’età del suo amico per sempre, «Davide Grandini, aveva 17 anni, giocava a calcio con me... Se l’è portato via un cancro al ginocchio, diversi anni fa...».

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