venerdì 29 marzo 2019
Ha subito operazioni chirurgiche senza analgesici, da un pauroso incidente stradale è uscita sorridente. L’ex insegnante Jo Cameron è un caso di studio. Il suo "dono" dovuto a una mutazione genetica
Jo Cameron in un frame di una intervista televisiva

Jo Cameron in un frame di una intervista televisiva

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L’hanno operata all’anca e finito l’effetto dall’anestesia hanno dovuto insistere per farle assumere una dose di paracetamolo come analgesico. Quando il medico ha notato l’osteoartrosi avanzata dei suoi pollici, di solito molto dolorosa, ha detto di sentire nulla. Dopo l’operazione di trapeziectomia (la rimozione dell’articolazione del dito con ricostruzione dei legamenti), nota per provocare notevole sofferenza, ha chiesto solo un’aspirina, davanti ai chirurghi sbigottiti.

È stato allora che Jo Cameron, allora 66 anni, ex insegnante scozzese, ha attirato l’attenzione di un gruppo di ricercatori dell’University College di Londra. I suoi racconti hanno lasciato a bocca aperta gli esperti. Recentemente, è stata speronata da un furgone: subito è uscita dall'auto capottata in un fosso ed è andata ad assistere il guidatore sotto choc che aveva provocato l’incidente. Dei suoi lividi si è resa conto soltanto quando è tornata a casa. D’altra parte, scherza lei, la volta che si è ustionata la pelle, se ne è accorta dall'odore: “Sono vegana, in casa non poteva esserci altra carne sul fuoco”.

Dalle analisi approfondite, è emerso che il suo segreto è nei geni. La rara mutazione di cui è portatrice non solo la rende insensibile
agli stimoli che per gli altri sono dolorosi, ma le ha donato anche un carattere che definisce “spensierato” e che gli psicologi caratterizzano come situato all’estremo inferiore delle scale di ansia e di depressione. La signora Cameron non si è mai spaventata davanti al pericolo né è stata mai presa dal panico in contesti che avrebbero atterrito la maggior parte delle altre persone.

Un caso rarissimo

Tuttavia, l’ex insegnante, 71 anni, ha accettato di raccontare al “Guardian” – ora che lo studio scientifico che la riguarda è stato pubblicato sulla rivista scientifica “British Journal of Anaesthesia” – come della sua condizione particolare si diventata consapevole soltanto quando venne ricoverata per il primo intervento chirurgico. In precedenza, si era ferita e aveva partorito senza immaginare che la sua esperienza fosse molto diversa da quella comune. In effetti, il suo caso rende evidente come sia difficile comunicare agli altri con le parole quello che ciascuno prova: se ci danno un pizzicotto, il tuo dolore è più o meno forte del mio? Tendiamo a pensare che tendano a essere simili e che certe reazioni siano perciò esagerate, ma potrebbe invece essere che qualcuno abbia una ipersensibilità e qualcuno, come Jo, una sensibilità ridotta.

Da dove venga questa assenza di dolore l’hanno scoperto i genetisti. Nel Dna della signora Cameron ci sono due anomalie. Va premesso che ognuno di noi ha gli stessi geni, vi sono però tantissime microdifferenze al loro interno che ci caratterizzano e ci rendono unici, come si nota a partire dall’aspetto fisico, ma non solo: alti e bassi, biondi e castani, intolleranti al latte o meno, allegri o malinconici... Un gene chiamato FAAH ha il compito di codificare per un enzima che degrada l’anandamide, un neuromodulatore endocannabinoide. Si tratta di una sostanza prodotta dal nostro corpo che somiglia a un derivato della cannabis e che agisce sulle aree cerebrali che regolano dolore, tono dell’umore e memoria. L’evoluzione ha fatto sì che vi sia in circolo una quantità di anandamide più o meno adeguata alle sfide dell’ambiente. In altre parole, se ce ne fosse poco, saremmo molto sensibili a ogni stimolo negativo e troppo “pessimisti”. Al contrario, se ne avessimo tanto, non sentiremmo la sofferenza. Ma questa condizione può essere rischiosa: il dolore infatti è il sistema d’allarme che ci dice quando il nostro corpo è messo in pericolo da qualche minaccia.

"Nei geni il segreto della serenità"

Il FAAH ha quindi il compito di regolare il tasso di anandamide nel sangue. La doppia mutazione riscontrata nella paziente, sia nel
gene già noto sia in una porzione di Dna adiacente non ancora studiata e definita pseudo-gene FAAH-OUT, comporta il fatto che manchi l’enzima che riduce la quantità di endocannabinoide in circolo. Il risultato è che Jo non sente dolore, è sempre allegra, ma soffre da sempre di fastidiose amnesie: “Non trovo mai le chiavi di casa”, spiega comunque serena. Da un punto vista generale, un
eccesso di anandamide può comportare svantaggi che vanno al di là delle dimenticanze.

Ma quello che interessa ora agli studiosi è se si può trarre vantaggio dalle nuove conoscenze sui geni regolatori per provare a curare chi soffre di dolore cronico, una patologia invalidante, dalle cause non chiaramente identificate e che non ha trattamenti se non l’alleviamento dei sintomi con dosi massicce di analgesici, non sempre efficaci. Il caso dell’ex insegnante scozzese stimolerà anche la ricerca di altri soggetti con la stessa mutazione, che è certo rarissima, però non può essere unica. In passato, si hanno notizie di una famiglia pachistana i cui i componenti non provavano dolore o ne avevano un’alta soglia di sopportazione, tanto che un giovane morì saltando dai tetti: non percepiva il pericolo, si pensa, perché le cadute non gli provocavano alcuna sofferenza fisica.

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