venerdì 29 luglio 2022
La 21enne fuoriclasse ipovedente: «Le ultime medaglie un miracolo perché venivo da un’operazione Voglio vincere ancora per aiutare gli altri e laurearmi in psicologia»
La campionessa paralimpica ipovedente Carlotta Gilli, 21 anni

La campionessa paralimpica ipovedente Carlotta Gilli, 21 anni - P&G Campioni Ogni Giorno

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La chiarezza dei concetti, la determinazione negli obiettivi e l’assenza di vittimismo nelle sue parole spiegano perché Carlotta Gilli è anche una fuoriclasse del nuoto. Ha soltanto 21 anni, ma leggendo il suo palmarés dovrebbe averne almeno dieci di più. Contando solo le medaglie d’oro conquistate - e non parliamo dei record - siamo a quota 63, divise tra Giochi paralimpici, Mondiali, Europei e Campionati Italiani. Stile libero, dorso, rana, farfalla… non c’è stile precluso a questa ragazza piemontese affetta dalla ma-lattia di Stargardt, una retinopatia degenerativa che l’ha resa ipovedente. Agli Assoluti estivi tricolori di Napoli ha vinto tre ori, nei 50 e 400 sl e nei 100 rana, «è stato bello gareggiare fra compagni di nazionale - dice -, l’ultimo impegno della stagione all’insegna del divertimento».
Qual è invece il suo bilancio dei Mondiali paralimpici di Madeira?
È stato un miracolo conquistare quattro medaglie (tra le quali l’oro nei 100 farfalla, ndr). Ero reduce da una operazione al collo, poi ne ho subita un’altra dopo le gare italiane. Avevo un osteoblastoma, un tumore benigno dell’osso, incastrato fra il midollo e le arterie vertebrali, quindi pericoloso da trattare. Sono andata nel panico prima di essere operata: l’intervento è durato quattro ore. Il Mondiale e gli Assoluti sono stati gli unici momenti spensierati dell’anno.
«Praticamente sono nata in piscina, è più facile trovarmi lì che a casa», ha raccontato dopo la Paralimpiade di Tokyo ’20.
Ho preso confidenza con l’acqua a sei mesi d’età quando i miei genitori mi hanno letteralmente buttata in piscina, ma in verità volevo giocare a calcio. Andavo controvoglia: bracciata dopo bracciata, vasca dopo vasca è nato l’amore e ho fatto la prima gara a 8 anni. Nel 2016 Marco Dolfin, carissimo amico di famiglia, gareggiava alle Paralimpiadi di Rio e tifavo per lui. C’è però voluta un’opera di convincimento per farmi entrare nell’universo paralimpico. Nel 2017 ho partecipato a una gara a Berlino e capito che era nuoto: non c’era nulla di diverso. Non mi sono più fermata.
È studentessa in Scienze e Tecniche Psicologiche e spera di entrare in Polizia.
Finalmente è passata la legge che permette agli atleti paralimpici di essere arruolati proprio come gli olimpici, spero di farlo il prima possibile. Sono stata insignita quest’anno di una laurea honoris causa in Teoria e metodologia dell’allenamento - conferita agli atleti olimpici e paralimpici vincitori di medaglie d’oro -. È una grande soddisfazione, però continuo il mio percorso con la triennale di Psicologia anche se è difficile conciliare lo sport ad alti livelli con lo studio.
Quanto è importante il sostegno della sua famiglia?
Sono una figlia impegnata e il supporto a casa è fondamentale. D’altra parte sono stata indirizzata dai miei genitori, quindi non è tutta colpa mia (ride, ndr). Loro, insieme al mio allenatore Andrea Grassini e preparatore Piercarlo Paganini, vivono il mio dietro le quinte, non solo l’atleta che gioisce. C’è tutta la parte di dolore, sacrifici e rinunce che non si vedono da fuori.
Sta sacrificando l’età più bella al nuoto.
Lo faccio dalle scuole medie. Magari, finite le lezioni al liceo, i miei compagni andavano a pranzare insieme, io mangiavo al volo e andavo in piscina, ma non mi è mai pesato. Ero disposta a rinunciare al tempo libero per diventare una nuotatrice.
Lei è nativa digitale. Qual è il suo rapporto coi social?
Sono importanti ma non devono sostituire la vita reale e le relazioni vere con le persone. È bello potersi mettere in contatto, magari con un’avversaria che vive dall’altra parte del mondo o con un amico che non so dove sia, ma senza dedicarci troppo tempo nella giornata. La mia generazione deve stare attenta: rischia di vedersi stravolgere la vita. Non deve accadere.
Com’è una sua giornata tipo?
Ci sono giorni in cui faccio due allenamenti: uno al mattino dalle 7.30 alle 10. Torno a casa e mi dedico allo studio, pranzo e poi mi alleno ancora dalle 14.30 alle 17. Quando ho la mattina libera, nuoto al pomeriggio e poi vado in palestra.
La piscina comunale nella sua città ha riaperto?
Averne una a Moncalieri sarebbe molto utile. Mi alleno a Torino o a Grugliasco e devo essere accompagnata in macchina. Spero venga inaugurata presto.
I tecnici raccontano che ha ancora margini di miglioramento. Dove vuole arrivare Carlotta?
Dico sempre che vincere è difficile ma riconfermarsi ancora di più. Mi alleno sempre per migliorarmi cercando di trarre insegnamenti dai campioni. Se vedo in loro una caratteristica che non ho cerco di farla mia.
Il muro che isolava gli atleti con disabilità è caduto ma la società comune sembra ancora bloccata.
A partire dalla Paralimpiade di Londra 2012 sono stati fatti grandi passi avanti ma vivendo una disabilità tutti i giorni capisco che altrettanti ne devono essere fatti. Le istituzioni possono fare di più per l’integrazione soprattutto ora che nelle persone, grazie allo sport, c’è stato un cambio di mentalità.
Realizzare in Italia 2.026.000 azioni concrete per le persone e per l’ambiente entro il 2026, quando l’Italia ospiterà i Giochi Olimpici e Paralimpici Invernali di Milano-Cortina: questo l’obiettivo di “Campioni Ogni Giorno” (Procter & Gamble), di cui fa parte.
Si parla tanto, ma è importante agire attraverso l’impegno per le persone e l’ambiente. Uso la mia immagine creata dalle vittorie per aiutare concretamente gli altri, ecco perché sono ambassador di Telethon e collaboro con la Croce Rossa Italiana. Voglio andare oltre le mie bracciate in acqua.

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