martedì 3 novembre 2015
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La vittima, il carnefice e il copyright: è una questione legale – e in parte commerciale – quella che accomuna il destino di due libri fra loro incompatibili come il Diario di Anna Frank e il Mein Kampf di Adolf Hitler. Ed è, principalmente, una questione morale, che riguarda il nostro rapporto con la Storia e con la memoria, il rispetto dovuto alla Shoah e la necessità di guardare negli occhi la belva del nazismo. I fatti, in sé, sono abbastanza semplici. Sia Hitler sia Anna Frank sono morti nel 1945 (il dittatore il 30 aprile nel bunker di Berlino, la giovanissima ebrea nel lager di Bergen-Belsen, in data non precisata) e quindi, secondo le norme internazionali che regolano il diritto d’autore, le loro rispettive opere sono destinate a diventare di pubblico dominio il 1° gennaio del 2016, a settant’anni dalla loro scomparsa. È una norma universalmente riconosciuta, che prevede qualche deroga a livello locale, ma che risulta altrimenti incontestabile. In questo caso, però, le contestazioni ci sono state e continuano a esserci. Sull’opportunità di rendere accessibile il Mein Kampf il dibattito è avviato da tempo. A detenere ufficialmente i diritti è lo Stato della Baviera, che dal dopoguerra in poi ha proibito la pubblicazione del libro. Un provvedimento che tuttavia non ha impedito che il memoriale-manifesto di Hitler circolasse nel mercato parallelo dei memorabilia, delle ristampe non autorizzate, delle traduzioni incontrollabili, come quella diffusa nei Paesi arabi. Fenomeno non recente, ma che di sicuro ha avuto un’accelerazione grazie al diffondersi di internet e del commercio online, per non parlare della facilità con cui è oggi possibile scaricare copie pirata dei volumi più disparati. Da qui la decisione di affidare all’Istituto tedesco di Storia contemporanea la realizzazione di un’edizione annotata e commentata che dovrebbe essere disponibile in Germania nel prossimo febbraio. Un’opera imponente, di oltre duemila pagine, alla quale è demandato il compito di contestualizzare e neutralizzare il testo, così da impedirne un uso improprio. L’intento è lodevole, ma qualche commentatore ha già avanzato il dubbio che lo sforzo di precisione accademica rischi di passare inosservato in un mondo dominato dalla rapidità o, meglio, dalla fretta degli scambi in rete.  Se Hitler è considerato una macchietta su cui scherzare nei social media, come sostiene lo studioso Gavriel D. Rosenberg, Anna Frank non ha mai smesso di essere un’icona. Merito del suo Diario, pubblicato per la prima volta nel 1947 dal padre Otto in una versione decisamente rielaborata rispetto all’originale. Solo dopo la morte di Otto Frank (1980) è stata realizzata una sorta di edizione critica, uscita con grande clamore nel 1986 ma, a quanto pare, ancora lacunosa rispetto ai materiali effettivamente disponibili. Ora, con l’approssimarsi della scadenza del copyright, la Fondazione Anna Frank di Basilea ha dichiarato l’intenzione di non rispettare il termine del 2015. L’ingresso del Diarionel novero dei titoli di pubblico dominio andrebbe spostato perlomeno al 2030, se non addirittura al 2051, data che segnerebbe il settantesimo anniversario della morte del “coautore” Otto Frank.  L’impressione generale è che la rivendicazione non poggi su basi legali abbastanza solide (sfugge, per esempio, il criterio per cui all’edizione del 1986 dovrebbe essere riconosciuto lo status di “nuova opera”) e questo non fa altro che rinfocolare le polemiche. Nelle scorse settimane numerosi blogger francesi hanno intrapreso un’azione di disobbedienza civile culminata nella pubblicazione online del Diario nelle sue diverse versioni, sostenendo in questo modo l’urgenza di consegnare una volta per tutte l’opera di Anna Frank alla comunità degli studiosi indipendenti. Sia pure comprensibi-le, la volontà di controllo esercitata prima dal padre e poi dalla Fondazione ha infatti finito per fornire argomentazioni al complottismo negazionista. Per evitare altri equivoci, affermano i sostenitori della rigorosa applicazione del copyright, è un bene che il Diariodivenga patrimonio di tutti. Dal punto di vista legale, si capisce, visto che sotto il profilo morale lo è già, e giustamente. Ma anche l’elemento economico non è da sottovalutare: con i suoi 30 milioni di copie il libro è uno dei maggiori long seller di tutti i tempi. I proventi, finora, sono serviti a finanziare le attività della Fondazione.
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