martedì 5 dicembre 2023
In attesa del "Don Carlo" che inaugura la stagione scaligera, il verdiano cantautore di Asti è nelle sale con il docufilm del suo straordinario concerto dello scorso febbraio nel tempio della lirica
Paolo Conte in concerto al Teatro alla Scala

Paolo Conte in concerto al Teatro alla Scala - Daniela Zedda

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In attesa del verdiano Don Carlo che ne inaugurerà il 7 dicembre la nuova stagione, la Scala è in questi giorni al cinema. Ce l’ha portata Paolo Conte che su quel vecchio palco della Scala, lui che nel tempio della lirica aveva confessato di non esserci mai stato da spettatore, ci era salito lo scorso febbraio. Quel concerto, che aveva fatto storcere il naso a qualche solito trombone pseudo-purista, ha invece mandato in visibilio in questi giorni come lo scorso inverno il popolo più autentico della grande musica, che abbatte barriere e pregiudizi.

Dopo essere stato presentato dieci giorni fa al Torino Film Festival, il docufilm Paolo Conte alla Scala – Il Maestro è nell’anima sta riempiendo ben 250 sale dal 4 al 6 dicembre. Uno strategico e simbolico antipasto del Verdi che darà il la alla stagione lirica, con lo stesso Conte a confessare nel documentario il suo amore per il potente Cigno di Busseto, preferito al pur gigantesco Puccini, «a volte un po’ languido».

Si alternano così splendidamente nel doc di Giorgio Testi i brani di quel 19 febbraio (una domenica sera) a frammenti di interviste vecchie e recenti in cui la voce dell'86enne Conte si alterna a quella del giovane avvocato alle prese con la sua verde milonga da cantautore con la voce ancora acerba e sgradevole, il suo principale cruccio di quando smise di fare l’autore per gli altri e decise di mettersi in proprio.

Tra i fruitori della sua arte ci fu nei lontani anni Sessanta anche l’ideatrice di questo progetto. «Paolo Conte alla Scala – ha detto Caterina Caselli presentando a Torino l’uscita del docufilm nelle sale in attesa che diventi un dvd - è la realizzazione di un sogno che viene da molto lontano, è un'idea fissa che mi ha perseguitato per anni, praticamente da quando ho cominciato a collaborare con lui per divulgare e valorizzare la sua arte a livello internazionale, in sintonia col suo compianto manager Renzo Fantini. Sono da sempre invaghita delle sue qualità artistiche, riflesso di una complessità che va ben al di là delle sue splendide canzoni: le parole, la musica così colta, ispirata e allo stesso tempo diretta e popolare, i disegni, la sua stessa presenza scenica così unica. La sua classe».

«Qualche tempo fa, assistendo ad un suo concerto - racconta ancora la Caselli -, si è risvegliata in me prepotente quell'idea da sempre cullata che un artista di quella grandezza potesse esibirsi nel più importante teatro musicale italiano: la Scala. Lo scorso 19 febbraio il Maestro con la sua orchestra ha trionfato, come è giusto che sia, chiudendo il concerto fra applausi scroscianti». Musica, ricordi, confidenze e pensieri sparsi che nel bellissimo docufilm prodotto dalla stessa Caselli con la sua Sugar Play si sposano con le affascinanti immagini scaligere, anche con gustosi dietro le quinte o durante le prove.

«Tutte le arti vogliono essere musica», dice Conte in un passaggio delle diverse interviste proposte, a partire dalla sua pittura che ora si può ammirare anche alla Galleria degli Uffizi di Firenze. Colori e suggestioni di “arte varia” che come non mai si uniscono in questo film dedicato a un musicista che nel 2001, al termine della sua tournée negli Stati Uniti, la critica americana aveva definito «traghettatore estetico dal Novecento al futuro». E traghettatore Conte lo è stato anche stavolta portando in quello che da 250 anni è il tempio dell’opera, della musica classica e del balletto il cosiddetto pop. Lui, il più nobile e il più autenticamente popolare tra gli autori di canzoni in lingua italiana, il più artista e il più artigiano, il più letterario e il più musicista, il più classico e il più all’avanguardia.

Tutto il concerto si è dipanato così all’insegna dello stile sopraffino di un artista assoluto, sintesi di melodica italianità e di sonorità d’antan, unendo jazz e classicità, poesia e surreale immaginazione, ritmi e colori, con la sua fedele orchestra. Da Sotto le stelle del jazz a Come di (in cui ha inaugurato alla Scala il suo proverbiale kazoo) fino alla rarefatta atmosfera di Alle prese con una verde milonga con un insolito finale in suggestivo dialogo tra sax baritono con Conte che s’inventa rumorista con un labiale e vocale suono a evocare il fruscio del vento.

Aperto da Aguaplano, title-track di quel doppio grandioso album dell’87, ecco Ratafià (nel finale Conte gigioneggia imitando il trombone) e Recitando e le ancor meno note Uomo camion e La frase. Immancabili, naturalmente, epici brani come Gli impermeabili, Max, Dancing, Via con me e l’infinita Diavolo rosso con gli applauditissimi assoli di sax, fisarmonica e violino e Conte assorto in ascolto dei suoi musicisti a coglierne l’estro del momento («ogni volta è una sorpresa perché cambiano e improvvisano» dice).

E, benché non annunciato in scaletta e non incluso nel libretto, non poteva mancare il più scaligero dei suoi brani, Dal loggione, che chiude il primo tempo, anzi il primo atto, come dice la scritta in sovraimpressione nel docufilm, la cui apoteosi è ovviamente il trionfale Il maestro con le tre coriste di colore (unica apparizione di tutta la serata) e l’ensemble degli undici fidi musicisti a celebrare il “maestro” sulle note simil-verdiane e un po’ risorgimentali di quel celebre pezzo del ’90 (dall’album Parole d’amore scritte a macchina) che gli orchestrali di Conte avevano già cantato in coro per festeggiarne gli 80 anni nel 2017.

Ma non è tutto, perché attorno al film è stato concepito da Sugarmusic un progetto multipiattaforma che comprende anche un album in formato fisico (vinile e cd già usciti lo scorso 24 novembre) e un podcast (prodotto da Sugar Play in collaborazione con Chora Media) scritto e raccontato da Giulia Cavaliere in cui avrà spazio uno speciale corpus di voci e di mondi artistici contemporanei come Caterina Caselli, Francesco De Gregori, Lucio Corsi, Francesco Bianconi, Dente, Colapesce e Dimartino, Mahmood e la linguista Beatrice Castelli che traghetteranno Paolo Conte dal Novecento al futuro.

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