martedì 24 novembre 2015
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«Il mio cognome, Altobelli, è l’anagramma di Balotelli, ma tra me e Mario ci passano duecento gol e tanto altro ancora...». Tra Sandro Altobelli e Mario Balotelli passano anche trentacinque anni di differenza, perché lo Spillo nazionale sabato prossimo marca la tacca dei sessant’anni. Giunto all’età della saggezza dice di sé: «Altobelli non è stato superiore a nessuno, ma nessuno può dire di essere stato migliore di Spillo». Cominciamo proprio dal nomignolo: come salta fuori Spillo? «Per via della mia magrezza. Me lo affibbiò un maestro elementare che veniva sempre a vedere gli allenamenti dei ragazzi del Latina, in cui ero passato venendo dalla Spes: la squadra del mio paese, Sonnino». Una grande speranza in effetti non poteva che nascere alla Spes...«È la squadra messa in piedi dal barbiere di Sonnino, Gaspare Ventre. Terminata la terza media andai a lavorare dal macellaio Merluzzi e appena potevo lasciavo il bancone e scappavo a giocare. Mai avrei pensato che il calcio sarebbe diventato il mio mestiere». Cosa ha determinato la sua scalata al calcio “internazionale”? «L’umiltà famigliare. Mio padre faceva il muratore e quando andava a lavorare a Roma per lui era come fare un viaggio all’estero... La fame di arrivare conta eccome. Ho visto tanti ragazzi che si sono persi perché erano soltanto dei giocatori del giovedì. Il talento conta certo, ma senza la passione, lo spirito di sacrificio e la testa, in campo e fuori, non si va da nessuna parte». Il talento del Latina passò al Brescia dove nacque il grande tandem: Spillo Altobelli ed Evaristo Beccalossi. «Quando sono arrivato, nel 1974, Evaristo giocava nella Primavera del Brescia che vinse lo scudetto. Il Beck faceva certi numeri... Con lui, tra Brescia e Inter, sono stati dieci anni splendidi. Beccalossi è stato uno dei più grandi numeri 10 italiani, sapeva essere contemporaneamente goleador e assistman». Però in Nazionale chiamavano Altobelli, mentre Beccalossi Bearzot non lo vedeva. «Comunque Bearzot, al quale sarò sempre grato, mi chiamò solo dopo che avevo segnato trenta gol con l’Inter. Beccalossi avrebbe meritato di venire al Mundial dell’82, ma Antognoni aveva fatto Argentina ’78 e per il gioco di Bearzot era più lineare. Evaristo aveva più colpi... Infatti – sorride – l’ho appena convocato a Sonnino con le vecchie glorie dell’82: giocheremo assieme la partita dei miei sessant’anni. Stavolta dobbiamo battere i magistrati e poi sarà una notte di festa». E di quella notte di Spagna in cui segnò alla Germania e diventò campione del mondo, cosa ricorda? «Una gioia infinita. Prendere il posto di Ciccio Graziani (si infortunò subito), giocare e segnare nella finale del Mondiale potrei usarlo come pass per entrare un domani in paradiso - sorride - ... Quella Nazionale era composta da ventidue grandi uomini, calciatori carismatici e tutti con lo spirito vincente nel Dna». Facciamo un passo indietro, ai vincenti Spillo e Beck che trascinarono l’Inter allo scudetto 1979-1980. «La nostra fortuna fu Eugenio Bersellini. Altro che “sergente di ferro”: oltre che un tecnico preparatissimo è stato un amico leale e un padre per tutti noi. A me ha insegnato l’importanza di far bene questo mestiere senza badare ai soldi, “quelli – diceva – vengono molto dopo, se ciò che fai ti piace e ci metti l’anima”. Oggi non so quanti allenatori ragionano come Bersellini... Credo nessuno». L’anno dello scudetto Altobelli umiliò la Juventus nel 4-0 di San Siro. Ma era già così forte la rivalità tra Juve e Inter? «Quella per me rappresenta la partita perfetta, feci tre gol alla difesa più forte del mondo e l’assist della quarta rete per Muraro. Noi all’epoca più che alla Juve guardavamo al Milan di Rivera come il “nemico” vero da battere, anche perché ce l’avevamo in casa». Lo scudetto dell’80 coincise con il primo dei tanti scandali delle scommesse che hanno inquinato il nostro calcio. «I segnali di qualcosa di marcio erano cominciati l’anno prima, ma la cosa che da interista mi riempie d’orgoglio è che l’Inter, dall’era Fraizzoli a quella Mo-ratti, non è stata mai sfiorata neppure dall’ombra della combine». Di recente però si è parlato di sospetti di doping che andrebbero dall’Inter di Helenio Herrera alle dichia- razioni preoccupate di Beppe Bergomi. «In undici anni di Inter, pasticche nei caffè o flebo per giocare da infortunato non ne ho viste. Ho disputato trecentoventi partite e ne ho saltate dieci perché quando non ero in forma Bersellini mi diceva: “Spillo ti vedo stanco, domenica vieni in panchina con me”. E quella domenica andavo in panchina senza fiatare». Da nerazzurro nel cuore e nell’anima, come fece nella stagione 1988-1989 a passare alla Juventus? «Non andavo d’accordo con Trapattoni... Così vado agli Europei, segno alla Danimarca e gioco la semifinale [persa contro l’Urss, ndr] senza squadra. Quando mi chiama Boniperti sono io che rinuncio a un contratto ancora in essere con l’Inter e affronto anche il rischio di sentirmi dare del “traditore” dagli interisti, ma avevo ancora qualcosa da dare. Certo oggi rimane il rimpianto di non aver chiuso all’Inter con quel secondo scudetto dei record. Me lo sarei meritato». In quegli Europei dell’88 il ct Vicini lanciò titolare Roberto Mancini: se lo immaginava che da allenatore avrebbe fatto le fortune dell’Inter? «Il Mancio da giocatore, dalla Sampdoria alla Lazio, è stato la fortuna dei suoi allenatori. Da tecnico con l’Inter ha cominciato a vincere e questo gli è servito per conquistare la Premier con il Manchester City. Oggi è uno dei migliori mister in circolazione e alla sua Inter fino a ieri potevano dire che segnava poco, ma dopo il 4-0 al Frosinone vedo dei segnali importanti in chiave scudetto». La critica insiste: è un’Inter senza italiani in campo. «L’esterofilia dilagante tocca un po’ tutte le nostre squadre, mica solo l’Inter. Occhio però a demonizzare gli stranieri come la causa dei mali del calcio azzurro perché nel 2006 abbiamo vinto un Mondiale e nel 2012 siamo andati in finale agli Europei... Il problema è che ci sono ancora troppi stranieri scarsi che rubano il posto a molti giovani italiani bravi». E del suo “anagramma” Balotelli che dire? «Lo conosco dai tempi delle giovanili del Lumezzane, è un ottimo giocatore, ma a un certo punto hanno “pensato male” di farne il nostro Cristiano Ronaldo e l’hanno rovinato... Ora Balotelli per tornare ad essere almeno un ottimo giocatore dovrebbe ripartire da sotto zero. Non so se sarà possibile, ma glielo auguro». Da dieci anni commenta il calcio per la tv di Doha, Al Jazeera. Ma il Qatar è idoneo per il Mondiale del 2022? «Il Qatar è un bellissimo Paese, dove tutto funziona, la qualità della vita è ottima e i cittadini hanno un profondo rispetto delle leggi, cosa che da noi invece fa eccezione. È tutto pronto per il 2022 e il Mondiale di dicembre sarà una piacevole novità. Gli sceicchi si stanno comprando tutto il calcio? Beh, mi viene da dire: per fortuna, altrimenti tanti club, a cominciare dal Psg, sarebbero spariti».
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