sabato 2 settembre 2023
Si presenta oggi alle Giornate degli Autori al Lidoil docufilm della regista e antropologa Irene Dorigotti. «Dalla mia esperienza personale un viaggio ala ricerca del sacro per fare riflettere»
Irene Dorigotti, regista del docufilm "Across" col produttore Riccardo Annoni

Irene Dorigotti, regista del docufilm "Across" col produttore Riccardo Annoni - Foto Kinoweb

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Un road movie spirituale, o meglio, “un film scout punk” come lo definisce l’autrice regista e interprete Irene Dorigotti: questo è Across affascinante documentario sul sacro che verrà presentato oggi al Lido nell’ambito delle Giornate degli Autori. Protagonista la stessa Dorigotti, che interpreta se stessa vestita da scout, come è stata fra gli 8 e i 20 anni, in un viaggio onirico e riflessivo alla ricerca di Dio nel mondo a partire dall’Ostensione della Sacra Sindone a Torino nel 2015 che vide arrivare tre milioni di fedeli, con riprese anche dell’Ostensione speciale del 2018. “Across”, che vede le animazioni e lo storyboard di Simone Rosset, è una produzione Start, in collaborazione con Rai Cinema, in coproduzione con Noha Film e Rsi Radiotelevisione svizzera con il sostegno, fra gli altri, del Cai.

Il viaggio e lo scoutismo sono un affare di famiglia per la 35enne regista e antropologa visiva trentina, laureata in Antropologia Culturale ed Etnologia presso l’Università di Bologna e laureata presso il Dipartimento di Scienze Politiche e Società della Cultura dell’Università di Torino. Il nonno Valerio è stato uno dei primi agenti di viaggio in Italia e ad iniziarla allo scoutismo fu la mamma quando a 8 anni la iscrisse all’Agesci di Rovereto. “Lo scoutismo è una tradizione di famiglia, mia mamma era scout, la mia prozia hippie è stata scout, tutti, mia sorella e anche i miei cugini lo sono stati e presto lo sarà anche la mia nipotina che oggi ha 6 anni – racconta ad Avvenire Irene Dorigotti -. Nella mia storia, un giorno importante che ha contribuito a “forgiare” il mio immaginario, è stato quello in cui ho compiuto otto anni, mia madre mi svegliò presto e mi disse: “Ora sei pronta!”, aprii il pacco del mio compleanno che conteneva: un paio di pantaloncini di velluto blu, una camicia azzurra, un paio di calzettoni blu lunghi fino al ginocchio e tutta l’attrezzatura da scout. Da quel momento in poi ho trascorso la maggior parte della mia esistenza a camminare nei boschi e a condividere la strada con altri bambini. Questo percorso è stato affinato in montagna aspettando i caprioli, dormendo all’aperto, cercando nelle stelle cadenti un Dio che potesse rispondere alle grandi domande di una piccola esistenza. Mentre i miei compagni di classe diventavano raver, punk e ascoltavano i Nirvana, io crescevo con la promessa Scout: “Con l’aiuto di Dio prometto sul mio onore di fare del mio meglio: per compiere il mio dovere verso Dio e verso il mio Paese; per aiutare gli altri in ogni circostanza”.

La regista che vive a Isera, un piccolo paese del Trentino di 600 abitanti era vista come una bambina strana, “ma andare dagli scout mi ha dato la possibilità di avere amici diversi di una estrazione mista sociale. Con l’uniforme non si distingue ed è molto utile. Molto interessante è l’educazione alla democrazia e all’autoresponsabilizzazione, ti pensi nel gruppo, devi contare sulle tue proprie forze e anche su una proposta educativa che ti apre alla spiritualità”. Irene Dorigotti in questo docufilm girato nel giro di 8 anni, racconta il suo personale romanzo di formazione: dapprima segue i fedeli davanti alla Sindone a Torino, si interroga sulla figura del Cristo e sulla sua rappresentazione e, talora, le contraddizioni del marketing, per poi partire passo dopo passo, scarponi e zaino in spalla, ad incontrare varie religioni sincretiste dai rituali cristiano-animisti di origine indio del Chapas in Messico, al Vietnam dove incontra i caudaisti che venerano Gesù, Buddha ma anche Victor Hugo, e i riti para buddisti dei Mother Earth, passando per i templi di Angkor in Cambogia.

“A vent’anni ho messo la mia educazione scout nella scatola dei ricordi e mi sono data all’antropologia e ai viaggi. Ho messo alla prova i miei strumenti di comprensione per capire visioni del mondo distanti dalla mia, e passato il mio tempo a cercare di comprendere perché altre culture chiamino Dio con nomi diversi – spiega la regista -. Non è stato un percorso semplice: il confronto ha messo in discussione molte delle mie certezze e spesso ha generato nuovi dubbi. Così ho iniziato questa ricerca, dedicandomi totalmente ad un esperimento: realizzare un film sul concetto del sacro”.

Ad accompagnare il silenzioso viaggio di Irene è la voce dell’attore Fabio Bussotti, che ha lavorato con Fellini, sui testi del produttore Carlo Shalom Intermann che dona la sua profondità di pensiero legata all’ebraismo e alle sue collaborazioni col regista Terrence Malick.

Una scena del docufilm 'Across'

Una scena del docufilm "Across" - undefined

“E’ un film molto cristologico anche se siamo sul filo della provocazione – aggiunge Dorigotti -. Nel 2015 non riuscivo a vedere dove era il volto di Gesù: era un brand sulle bottigliette acqua, persino sui biglietti autobus. Io ho deciso di fare una perfomance con amici artisti presso il teatro della Cavallerizza di Torino dove riproducevo questa idea del volto impresso di Cristo per cercare di capire il contatto del corpo con lenzuolo. Nel cristianesimo il corpo è un elemento centrale”. In “Across”, docufilm che originariamente doveva fare parte di un film collettivo sulla Sindone prodotto da Daniele Segre, Gesù riappare poi in carne ed ossa fra le strade di Torino interpretato giocosamente dal montatore del film Marco Rezoagli circondato dai fedeli che scattano selfie. ”Cosa succederebbe se Gesù tornasse davvero?” si domanda Irene che poi ricostruisce sulle spiagge della Sardegna il rito dei battitori della croce. “La croce prima o poi doveva apparire. Questo rito musicale e performativo è un misto di tradizioni che ho costruito sulle mosiche dei Dogon del Burkina Faso. Prima del Covid Across doveva finire in Brasile con i riti del Candomblé, con l’idea di una processione con la croce portata da una sorta di santi schiavi”

Il rapporto col sacro oggi è sottovalutato? “Siamo una società molto materialistica, il sacro è un percorso. I miei studi di antropologia mi hanno insegnato che la religione è molto importante per capire le culture – spiega la studiosa e regista -. C’è stato un passaggio repentino dal sacro all’ipermateriale. Nella società contadina è più semplice, come nell’Italia di 50 anni fa la religione è uno spazio importante, una cosa che dà una struttura sociale. Ora stanno saltando tutte le strutture sociali, c’è la fluidificazione della società. L’importante è che le persone si interroghino e studino, anche a scuola vedo che non c’è più questa esigenza di farsi domande. Lo scopo del film è farsi domande: io non do risposte, perché io non ho le ho trovate, non basta la ricerca di una vita. Il sacro per me è la bellezza”.

Fra i prossimi progetti di Irene Dorigotti ci sono ancora gli scout: “Abbiamo il centenario dell’Agesci di Rovereto e io e Simone Rosset. abbiamo filmato da un anno tutti i campeggi degli scout, dai lupetti, al reparto, al clan. Nel 75mo anniversario la lupetta più piccola ero io e così tagliavo il nastro”. In lavorazione ci sono poi War of imagination che segue i sogni e le speranza di un gruppo di artisti che occuparono il teatro della Cavallerizza, un docufilm collettivo girato con le videocamere dagli stessi malati psichiatrici e un film vero e proprio sul Ruanda tratto dai suoi studi sulla colonizzazione e l’immaginario post genocidio.

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