Paolo Ricca e Sant'Egidio, sentirsi a casa in ogni chiesa
In un libro le predicazioni che il pastore valdese ha tenuto a Santa Maria in Trastevere.Riccardi: «Ha contribuito alla nostra cultura biblica e a creare familiarità con il mondo evangelico»

Da pochi giorni è in libreria un libro prezioso. Di quelli che procurano un senso di benessere non solo fisico, che sviluppano in noi uno spazio interiore vitale che rende la nostra esistenza più ricca culturalmente, più bella e più intensa. Sono state pubblicate molte delle predicazioni che Paolo Ricca, noto teologo valdese, ha rivolto alla Comunità di Sant’Egidio di Roma tra il 2014 e il 2024. Il volume, Uniti dalle parole di Gesù – curato da Paolo Sassi – è impreziosito dall’appassionata prefazione di Andrea Riccardi ed è edito da un editore, le Edizioni Magister, di Timoteo Papapietro, un protestante pentecostale. A Paolo Ricca – scomparso il 14 agosto 2024 – che stava lavorando con entusiasmo a questi testi in vista della loro pubblicazione piaceva l’idea di questo libro: «Perché raccoglie le parole dette da un protestante in una comunità cattolica e viene pubblicato da un pentecostale. (…) Per me, è un modo per esprimere - in qualche maniera, per come possiamo, coi nostri poveri mezzi - questo fatto: che Dio è più grande delle chiese. È anche più buono delle chiese».
Ricca non è stato il primo pastore valdese a predicare con regolarità a Sant’Egidio. Prima di lui, ogni settimana, per molti anni, anche quando era divenuto cieco, lo fece Valdo Vinay, scomparso nel 1990. La presenza di Vinay – definito da Fulvio Ferrario un gigante nel cristianesimo italiano dei suoi anni - a Sant’Egidio è stata intensa e fraterna per lunghi anni: «Ha contribuito molto – ha ricordato significativamente Andrea Riccardi - alla formazione biblica di una parte della Comunità, ma anche - con i suoi rapporti e la sua persona - ha creato un tessuto di familiarità con un mondo, quello evangelico, non solo italiano, che non era immediatamente prossimo alla Comunità».
La nostra fede ha «una serie di padri e di madri che, quand'eravamo giovani o più tardi, ce l'hanno predicata, aprendo in mezzo a noi le pagine della Scrittura. Ricordo solo, senza pretesa di esaustività, oltre Ricca, lo stesso Vinay e il teologo ortodosso francese, Olivier Clément (…). Spesso sono persone che vengono da percorsi esistenziali e storie, che non sono immediatamente le nostre, ma proprio per questo altamente significative».
Ricca è stato un cristiano che si è sentito a casa sua in tutte le chiese. Questo era il suo segreto: la coscienza che la chiesa era più larga del proprio mondo ecclesiale. Nel 1993 sostenne che bisogna «uscire dal narcisismo: entrare nell'orizzonte ecumenico vuol dire superare la propria centralità e se ressourcer, come diceva Congar, nelle due centralità [...] la centralità della Parola di Dio e la centralità del prossimo, in primo luogo dell'altro cristiano». Conosceva le difficoltà e le crisi dell'ecumenismo. Sono difficoltà e crisi, oggi ancor più forti, perché intrecciate con i nazionalismi e i conflitti. Vincenzo Paglia ha recentemente sostenuto che il cristianesimo europeo deve urgentemente riproporre con audacia e creatività è la riproposizione dell’unità dei cristiani. Purtroppo, «l’ecumenismo sembra sopravvivere solo nella celebrazione e nella devozione, ma si sta svuotando di serietà teologica e culturale. Dobbiamo chiederci con serietà: i cristianesimi vogliono davvero riconciliarsi? Le comunità cristiane si rendono davvero conto della marginalità alla quale la divisione della fede condanna la rivelazione del Vangelo? L’Europa è stata segnata profondamente – nelle sue ricchezze e contraddizioni – dalle tre tradizioni cristiane: cattolica, ortodossa e protestante». È vero che il cristianesimo è nato fuori dall’Europa, ma è in Europa che ha ricevuto la sua impronta culturale e intellettuale storicamente più efficace, come amava sottolineare Ratzinger. La divisione dei cristiani, prosegue Paglia, in «Europa – e non solo, ovviamente – è uno scandalo. Ma è ancor più incredibile che le spinte unitive che dal Vaticano II avevano cambiato il clima nei rapporti sia tra i fedeli sia tra le gerarchie, ora si sono più che raffreddate. Ricordo ancora l’emozione (che era anche un ammonimento) dell’affermazione del grande patriarca Atenagora: “Chiese sorelle, popoli fratelli”». Le divisioni e i conflitti che stanno traversando il tessuto europeo non trovano le Chiese complici per la loro divisione? Più in generale, «l’Europa, cristiana-ebraica-laica, sia chiamata a svolgere un ruolo decisivo per il coinvolgimento delle altre religioni, a partire dall’islam. La fede cristiana (nelle sue tre tradizioni) e la ragione occidentale (più la democrazia politica) possono diventare i principali attori nel dialogo interculturale e interreligioso, con l’obiettivo guida dell’affermazione dei diritti umani universali».
Oggi, in un tempo freddo non solo di ecumenismo ma di relazioni pacifiche è necessario ricordare Ricca e la sua coscienza di una comunità cristiana larga e variegata in cui era a suo agio ovunque. Nel 2014, per la Settimana dell'unità dei cristiani, così descriveva la situazione delle chiese divise: «Cinquanta anni fa, ottanta anni fa, eravamo solo divisi, adesso no, adesso siamo divisi e uniti. Uniti e divisi. Questa è la nostra condizione, una condizione altamente contraddittoria, però certo è un passo avanti rispetto a quando eravamo solo divisi [...]. Io sono un pastore della Chiesa valdese e accetto l'invito a predicare in una chiesa cattolica e i cattolici partecipano e ascoltano la predicazione. Ecco una cosa inconcepibile sessanta anni fa, inconcepibile [...], e questo è il paradosso nel quale ci troviamo, ma è solo una tappa, bisogna andare all'altra tappa».
Sono tra coloro che ho avuto il piacere e il privilegio di ascoltare Ricca predicare a Santa Maria in Trastevere. Come altri conservo l’immagine non del predicatore distaccato, ma di un uomo curioso che voleva partecipare alle dinamiche della vita comunitaria e altrui. Sempre sorridente. Viveva e predicava come fossimo già uniti. E, soprattutto, non era un anziano sulle sue. Un uomo di fraternità. Non nascondeva il peso degli anni. Ma il suo è stato un bel modo di essere anziano. Ricca avvertiva l’esigenza di rispondere alle domande dei contemporanei sulla fede cristiana. Scriveva su Dio e di teologia. Ha osservato giustamente Paolo Sassi che «la sua predicazione aveva il potere di incidersi con singolare efficacia nella memoria di chi lo ascoltava parlare e la caratteristica di essere rammentata con precisione pure a distanza di tempo». Fino alla fine combatteva la sua buona battaglia con la forza fragile della predicazione e della scrittura. Chi ha letto anche alcuni dei suoi libri lo sa.
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