«Lumumba vive ancora nel futuro dell’Africa»

Luca Catalano è coautore di un lavoro sul leader del Congo indipendente:«Un eroe luminoso e tragico, il cui pensiero è ancora attuale. Con lui è stato tradito tutto il continente»
August 20, 2025
«Lumumba vive ancora nel futuro dell’Africa»
Becco Giallo | Particolare della copertina della graphic novel "Lumumba eroe africano"
«Che Guevara ha avuto il tempo per diventare un eroe. Invece Patrice Lumumba no, è rimasto una leggenda». Lo ha scritto il grande reporter polacco Riszard Kapuscinski, narratore dell’Africa per mezzo secolo con i suoi magistrali reportage. Ma la leggenda di Lumumba a 64 anni dalla tragica morte mantiene un fascino immutato. La racconta ai più giovani Luca Catalano, operatore umanitario in Kenya con la cooperazione tedesca dopo esperienze in Congo e nella regione dei Grandi Laghi, autore dei testi della accurata e completa graphic novel Lumumba, eroe africano, realizzata con i disegni di Michele De Sanctis e pubblicata da Becco Giallo (pagine 144, euro 19,00).
La storia inizia con le immagini degli ultimi istanti di vita di Lumumba, in carcere per aver condotto il suo popolo a liberarsi dalla sanguinaria colonizzazione belga nel più grande e ricco paese d’Africa, il Congo, scandite dalle toccanti parole dell’ultima lettera alla moglie. “Preferisco morire a testa alta – scrive – che vivere nella sottomissione e nel disprezzo dei principi più sacri”. E ancora: L’Africa scriverà la sua storia e sarà a nord e sud del Sahara una storia di dignità”. II racconto ripercorre i 35 anni intensi dell’uomo che fu primo ministro del Congo indipendente per tre mesi, dall’infanzia sotto il giogo coloniale durissimo del Belgio alla giovinezza in cui matura la coscienza politica che lo porterà a guidare il movimento indipendentista in quello che per Conrad era il “Cuore di tenebra”. Lo tradì il suo migliore amico, Joseph Mobutu, che gli prese il potere e la vita. Giravano in moto insieme in gioventù – come facevano in America Latina negli stessi anni Alberto Granado e il “Che” – in una riedizione africana dei Diari della motocicletta.
Catalano, come e perché nasce la graphic novel?
«Lumumba mi ha accompagnato da quando all'università studiavo africanistica e preparavo la tesi sulle missioni di pace Onu in Congo. È un personaggio che non può lasciare indifferente un giovane, basta leggere qualche riga delle sue lettere, dei suoi discorsi pubblici. Da lì ho cominciato ad approfondire le ricerche. Poi ho lavorato in Repubblica democratica del Congo per quattro anni e lì Lumumba è letteralmente la storia del paese. Ricordo una grande scuola di Goma che ti accoglieva all'ingresso con l'attacco del suo discorso per l'indipendenza. A oltre 60 anni dalla morte resta una delle poche figure di riferimento in mezzo a una pletora di personaggi che hanno distrutto e devastato l’Africa».
Come definirlo?
«Un padre dell'indipendenza africana e del panafricanismo. Uno dei più luminosi e il più tragico perché è stato ucciso sei mesi dopo l’elezione».
II suo pensiero è attuale?
«Molto, ma non lo si può comprendere se non si capisce il suo periodo storico. Lui arriva in piena guerra fredda e segue l'ideale panafricano di Kwame Nkrumah, il primo presidente del Ghana che amava ripetere: “non guardo né a est né a ovest, guardo avanti per il mio paese”. E Lumumba aveva un programma politico di tre punti chiave poco schierato. Voleva l'educazione delle masse, l'indipendenza politica ed economica, cioè che lo sfruttamento delle risorse restasse al suo paese. Però, nel contesto della guerra fredda, venne considerata almeno agli occhi dei poteri coloniali belgi e degli americani una presa di distanza troppo rischiosa. Ricordo una bella metafora geografica e politica del sociologo Frantz Fanon: se si guarda l'Africa in prospettiva sembra una pistola e il grilletto si trova in Congo. Vuol dire che se il Congo arriva a fare queste conquiste, tutti gli altri paesi lo seguiranno perché è troppo importante e potente. Sono passati più di 60 anni, ma le grandi risorse del paese non sono nelle mani dei congolesi. Lumumba metteva l'educazione al primo punto del programma, perché un paese senza agronomi, ingegneri, avvocati, dottori non può andare avanti. Ma questa era la politica del Belgio all'epoca e nel 1960 non c'era neanche un universitario formato in Congo. Oggi ci sono università e scuole, ma quanto si investe sul sistema educativo in una società con il 75% di persone sotto i 23 anni? Quindi le sue battaglie restano attualissime».
La stagione dell'indipendenza fu unica. Che eredità ha lasciato?
«Era l'epoca della grande speranza, che 60 anni dopo è naufragata in tre quarti dei paesi africani. Il Congo è paradigmatico perché Lumumba venne ucciso e il suo posto venne preso da Mobutu, che era un agente allo stesso tempo della Cia e dei servizi di sicurezza belgi. Mentre fingeva di essere il migliore amico di Lumumba, era pagato dagli americani e dai belgi per spiarlo. Cambiò poi il nome al paese in Zaire e instaurò una delle peggiori dittature della storia. Morì nel 1997 e poco dopo scoppiò una guerra che ha fatto sei milioni di morti. Oggi ci sono leader come il capitano Traoré in Burkina Faso e Tchianni in Niger che hanno preso posizioni nuove sui rapporti con l’Occidente che penso riflettano il sentimento popolare di una generazione che si sente derubata del presente e del futuro».
E l'Occidente è cambiato nei confronti dell’Africa?
«No. C'è una complicità delle élites al potere, però i meccanismi di sfruttamento delle risorse sono rimasti in larga parte uguali a quelli dei tempi di Lumumba. Gli scambi tra Occidente e Africa non sono più incentrati sul paradigma coloniale. Però nell’alta politica e nell’alta finanza non vedo grandi differenze».
È rimasta traccia di Lumumba nella cultura popolare?
«Mi ha sempre impressionato la diffusione del suo pensiero e la sua popolarità oltre il confine. In un bar in Nigeria ho visto ad esempio una sua gigantografia sul muro. Il pensiero panafricano resiste perché i popoli si riconoscono più delle élites».
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