mercoledì 30 aprile 2025
Il neurologo Mario Sabatelli ha scoperto il vero nome della malattia che nel 1952 portò alla morte la co-fondatrice dell'Università Cattolica. E ora la struttura clinica che dirige le viene intitolata
Il ritratto di Armida Barelli nel Centro NeMo del Policlinico Gemelli di Roma

Il ritratto di Armida Barelli nel Centro NeMo del Policlinico Gemelli di Roma - .

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«La beata Armida Barelli era una donna all’avanguardia, in qualche modo rivoluzionaria. E anche il Centro NeMo rappresenta un modello rivoluzionario, con un concetto innovativo del prendersi cura delle persone. Non posso non vedere un disegno unico in tutto questo». Il direttore del Centro clinico NeMo Adulti di Roma, il neurologo Mario Sabatelli, è stato tra i primi a sostenere l’intitolazione del Centro del Policlinico Universitario “Agostino Gemelli” Irccs alla beata Armida Barelli, cofondatrice dell’Università Cattolica del Sacro Cuore.

«Una collega – ricorda Sabatelli - aveva organizzato un incontro di preghiera per la morte del rettore Franco Anelli. Quel giorno ero impegnato per lavoro, ma per una coincidenza sono riuscito a liberarmi un’ora prima e sono andato in chiesa. Stavano leggendo brevi brani di padre Gemelli e di Armida e mi è stato chiesto di partecipare. In mano, casualmente, mi è arrivata una sua frase: “Ora non posso più parlare, ma posso pensare, pregare e amare”. Terminata la funzione, ho avuto un dubbio, stimolato anche da un’osservazione di uno studente. Pensavo: se non poteva più parlare, allora forse era malata di Sla. Mi occupo di Sclerosi laterale amiotrofica da quarant’anni, non potevo ignorare questo aspetto».

Approfondendo, è apparso sempre più chiaro che la diagnosi ufficiale dell’epoca di “paralisi bulbare” indicava proprio quella che noi oggi conosciamo come Sla. «Mi è sembrato un segnale importante. Qui al Gemelli abbiamo realizzato un centro che oggi accoglie forse il maggior numero di pazienti in Italia. Abbiamo aperto questo centro contro ogni evidenza, senza finanziamenti aggiuntivi, pur con costi molto elevati. Tante persone vi lavorano con dedizione, consapevoli di essere impegnate in una medicina che non punta al successo terapeutico ma a lenire la sofferenza. Quest’opera mi è sempre apparsa come parte di un disegno più ampio, e vedo una stretta connessione con il coraggio di una donna che nel Novecento ha sfidato mezzo mondo».

Foto di gruppo del Centro NeMo del Policlinico Gemelli di Roma. Dietro al quadro di Armida Barelli il neurologo Mario Sabatelli

Foto di gruppo del Centro NeMo del Policlinico Gemelli di Roma. Dietro al quadro di Armida Barelli il neurologo Mario Sabatelli - .

Studiando la storia della beata Barelli, le analogie con l’attività quotidiana del Centro sono apparse sempre più evidenti. «Il suo ripetere “Se è impossibile allora lo facciamo” – continua Sabatelli – non era un atto di presunzione ma si fondava sulla preghiera e sull’amore. La medicina positiva ci ha abituati a puntare esclusivamente sulla guarigione, ma il sollievo dalla sofferenza è il senso originale, più autentico e più profondo dell’attività medica. Insieme alle associazioni dei pazienti, NeMo è un modello assistenziale innovativo concepito da Alberto Fontana, multidisciplinare, che coinvolge tutti, anche infermieri e oss. L’innovazione è clinica, logistica e organizzativa, con l’impiego di una medicina ad alta intensità, ad alta tecnologia e ad alto costo. Sono cure palliative, che non accompagnano alla morte ma si preoccupano integralmente della persona e aiutano a vivere nel miglior modo possibile».

E se lo stesso Alberto Fontana, segretario dei Centri clinici NeMo, ribadisce che «la beata Armida Barelli conferma l’idea che l’incontro tra scienza e fede sia strumento di cura e forza in grado di rendere tutto possibile», il vicepresidente dell’Istituto Toniolo Giuseppe Fioroni richiama il suo esempio «per la determinazione, la voglia di vivere, di impegnarsi e di combattere» per le cause importanti.

«Avrebbe potuto vivere agiatamente – osserva ancora Fioroni – ma decise invece di laurearsi e di dedicare il suo impegno all’affermazione dei diritti delle donne. Essere segno di contraddizione e saper andare controcorrente: questa è la sua lezione. Il suo impegno politico e sociale fu una vera scelta di libertà, nell’essere liberi di testimoniare la propria fede e il proprio impegno verso gli altri, con l’orgoglio dei propri valori. La fede arricchisce, non sottrae, né danneggia, neppure in termini di competenze o professionalità. Lo dimostra il fatto che il Policlinico Gemelli sia oggi tra i migliori ospedali al mondo».

Anche il rapporto con la sofferenza è un tema che dimostra l’umanità di Armida Barelli (ne ha fatto oggetto della sua omelia alla Messa che ha solennizzati la dedicazione monsignor Claudio Giuliodori, assistente generale dell'Università Cattolica). Come spiega Ernesto Preziosi, vicepostulatore della sua causa di beatificazione e autore del libro biografico La zingara del buon Dio, la cofondatrice del Gemelli ha affrontato la malattia «con una certa serenità, pur scrivendo in diverse occasioni di avere paura del dolore», come della morte per soffocamento.

«Questo ci restituisce la normalità di Armida, comprensibilmente preoccupata davanti alla malattia. In una lettera, anche Giovanni Battista Montini, futuro Paolo VI, la confortava ricordando che la sofferenza è un tratto necessario per la somiglianza al Divino Modello, una sorta di purificazione dell’ultimo tratto di vita». Restano le battaglie a favore delle donne: «Il suo non era un femminismo astratto. Aveva una visione dell’impegno non solo legato alla formazione cristiana ma anche alla testimonianza civile, affinché le giovani donne fossero protagoniste nella società, secondo un modello di laicato che lei viveva pienamente. Papa Francesco ha scritto che Armida è una donna che ha fatto della laicità un antidoto all’autoreferenzialità, quella caratteristica che permette di camminare insieme per incontrare le persone nella particolare condizione che vivono. Nella sua semplicità e normalità aveva una dimensione di fede che si apriva alla dimensione civica. Il suo contributo all’emancipazione femminile è stato di enorme valore, ed è sbalorditivo che la storiografia non lo riconosca integralmente».

Sotto la targa del Centro NeMo col nome di Armida Barelli, da sinistra: Mario Sabatelli, Daniele Franco, Maria Teresa Bellucci, Giuseppe Fioroni e Fulvia Massimelli

Sotto la targa del Centro NeMo col nome di Armida Barelli, da sinistra: Mario Sabatelli, Daniele Franco, Maria Teresa Bellucci, Giuseppe Fioroni e Fulvia Massimelli - .

Anche la presidente dell’Associazione italiana Sclerosi laterale amiotrofica (AiSla), Fulvia Massimelli, ricorda le parole di Francesco, quando il Papa ha definito la beata una figura straordinariamente normale perché ha saputo portare la fede nella vita concreta, nella cura delle relazioni, nella capacità di dare vita a opere durature. «Una donna di fine Ottocento che ha saputo fare cose importanti con la sua fede incrollabile. Anche noi che viviamo tutti i giorni i limiti che la malattia ci impone ci riconosciamo nei suoi valori – continua Massimelli –. Siamo fragili ma coraggiosi, non possiamo e non vogliamo lasciare nessuno indietro. Il Centro clinico NeMo si prende cura delle persone in modo completo, intendendo la cura stessa come un gesto d’amore autentico e di compassione. Basiamo tutto sulla centralità della persona: perché la vita vale sempre la pena di essere vissuta, anche nelle prove più dure e con le limitazioni della malattia, purché ci sia sempre attenzione e ascolto».

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