sabato 9 dicembre 2017
Ci sono tanti peccati, e tanti modi di peccare. Il catechismo della Chiesa Cattolica, al riguardo, è senz'altro illuminante e non ci sarebbe bisogno di aggiungere altro né, tantomeno, bisognerebbe cedere alla tentazione molto umana di trattare l'argomento come una specie di “borsino”, per segnalare chi sale e chi scende in una presunta graduatoria. C'è tuttavia un peccato, o per meglio dire una categoria di peccato, che in qualche modo resta per così dire nel retrobottega delle coscienze. Una categoria negletta, quasi dimenticata si potrebbe dire, e che invece è in qualche modo particolarmente odiosa.
Parliamo dei peccati di omissione. Francesco ce l'ha ricordato proprio una settimana fa, nell'ultimo giorno del suo viaggio in Bangladesh, incontrando i rappresentanti della comunità dei Rohingya, la piccola minoranza musulmana vittima di un'odiosa persecuzione, e chiedendo loro «perdono per l'indifferenza del mondo». «La presenza di Dio, oggi – ha detto Papa Bergoglio – si dice anche Rohingya. Ognuno di noi dia la sua risposta... Facciamo vedere al mondo cosa fa l'egoismo con l'immagine di Dio... A nome di tutti, di quelli che vi perseguitano, di quelli che vi hanno fatto del male, soprattutto per l'indifferenza del mondo, vi chiedo perdono, perdono». E ancora: «Il racconto ebreo-cristiano della creazione dice che il Signore che è Dio ha creato l'uomo a sua immagine e somiglianza. Tutti noi siamo questa immagine. Anche questi fratelli e sorelle. Anche loro sono immagine del Dio vivente, portano dentro le sale di Dio... Continuiamo a far loro del bene, ad aiutarli, a muoverci perché siano riconosciuti i loro diritti. Non chiudiamo i cuori, non guardiamo dall'altra parte».
Ecco, è proprio questo il peccato d'omissione. E la nostra vigliaccheria, la nostra distrazione, la nostra voglia di quieto vivere che ci fa voltare la testa dall'altra parte, chiudere gli occhi, ignorare. Come le famose tre scimmiette molto spesso non vediamo, non sentiamo, non parliamo. O, se parliamo, diciamo “oh va bene, a me non riguarda”. Magari siamo pronti e disponibili, e perché no talvolta anche orgogliosi, di batterci il petto per i nostri peccati “normali”, ma neppure riusciamo a riconoscere le nostre mancanze per non aver fatto nulla. E chiedere perdono al padre per non aver fatto nulla, finisce con l'apparirci quasi inutile.
Eppure proprio qui sta l'odiosità tutta speciale del peccato di omissione. Che, appunto, non è solo e semplicemente il voltare la testa dall'altra parte, ma il non accorgersi, che forse è anche peggio. Perché «alcuni peccati – come ha scritto Papa Wojtyla nell'esortazione post sinodale Reconciliatio et paenitentia nel 1984, parlando del peccato sociale – costituiscono, per il loro oggetto stesso, un'aggressione diretta al prossimo e – più esattamente, in base al linguaggio evangelico – al fratello». E Benedetto XVI a puntualizzato: «Se per nessuno e possibile l'assenteismo sociale, per i cristiani è un peccato di omissione», in quanto «da qui, dall'Eucaristia deriva il senso profondo della presenza sociale della Chiesa».
A ogni cristiano, dunque, non è consentito voltarsi dall'altra parte, far finta di niente, dire: “Che ci pensi qualcun altro”. Non è neppure consentito di essere distratti, di non accorgersi di quanto ci succede intorno, e di quanto ciascuno possa farsi carico anche nel proprio piccolo del fratello nella prospettiva del bene comune. Essere cristiani, infatti, secondo il Vangelo, significa essere presenti nel mondo e nella storia. «Dio non ci chiederà – ha detto Francesco nell'omelia della giornata mondiale dei poveri – se avremo avuto giusto sdegno ma se avremo fatto del bene».
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