venerdì 4 gennaio 2013
Bologna, 23 dicembre '84 – Stanotte una bomba è scoppiata su un treno, in una galleria tra Firenze e Bologna. Dal giornale siamo partiti di corsa, dentro una gran nebbia. Io sono stata mandata all'obitorio. Al mattino vado a casa di una ragazza, che non si trova né fra i vivi né fra i morti. Tremo, nell'allungare il dito sul citofono di un palazzo borghese.Mi apre un signore che potrebbe essere mio padre. Dico che sono una giornalista, e mi aspetto che mi cacci via. Lui invece mi guarda assorto, poi: «Si accomodi, le preparo un caffè?».Io sbalordita mi siedo rigida su una poltrona. L'uomo si siede davanti a me. Sua figlia ventenne tornava da Firenze, era andata a comprare i regali. Di lei, dodici ore dopo, niente. «Vede – fa lui, calmo – mia figlia è un'atleta. Sarà scappata dalla galleria, sarà nei boschi, smarrita».Capisco che in quella assurda speranza il padre si va disperatamente cullando. E che devo tacere, e andarmene in punta di piedi, e non svegliarlo. Poi mi cade lo sguardo su una foto in cornice. Una ragazza bruna, i tratti da emiliana; un po' le somiglio. Ora, quell'uomo mi verrebbe da abbracciarlo. Possibile che ci si possa trovare, fra sconosciuti, così vicini? Come se nessuno, in realtà, ci fosse estraneo. (Della figlia verrà trovato, fra le lamiere, solo un anello).
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