domenica 27 febbraio 2005
Signore, facci ricordare che il tuo primo miracolo lo facesti per aiutare alcune persone a far festa, alle nozze di Cana. Facci ricordare che chi ama gli uomini, ama anche la loro gioia, che senza gioia non si può vivere, che tutto ciò che è vero e bello è sempre pieno della tua misericordia infinita. Certo, la quaresima porta con sé un abito penitenziale, fatto di serietà e di severità. Eppure la metánoia, il vocabolo greco neotestamentario tradotto spesso con "penitenza", in realtà significa "conversione della mente", quindi un mutamento
certo non indolore, ma per una nuova serenità e lievità dello spirito. E' per questo che Gesù ama parlare del regno di Dio sotto immagini festose e nuziali e, come ci ricorda Dostoevskij nel brano sopra citato, il suo primo miracolo l'ha compiuto per impedire che una festa nuziale fosse turbata. Il cristianesimo è esigente ma non funereo, è impegnativo ma non masochistico. Una fede genuina fa assaporare il gusto della vera gioia. Un gusto che spesso è scimmiottato dal mero godimento, dall'allegria artificiosa e becera, dal piacere fisico, ma che da queste realtà è del tutto differente. La vera gioia, infatti, si irradia dall'anima, nasce da un amore autentico, ha bisogno di una coscienza in pace, ha radici interiori e non ha necessità del baccano esteriore. È per questo che può coesistere con l'austerità quaresimale. Anzi, già un antico maestro pagano, caro per altro alla tradizione cristiana, come Seneca non esitava a scrivere all'amico Lucilio: «La vera gioia è res severa», è una realtà seria e austera. Ritroviamo, allora, la bellezza di questa «splendida scintilla divina», come la chiamava Schiller nel suo celebre Inno alla gioia.
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