Un video che deve fare riflettere sui preti popolari che abitano la Rete
mercoledì 1 settembre 2021
Un lancio dell'agenzia Sir ( bit.ly/2V69ksS ) ha riferito all'infosfera ecclesiale italofona del caso sollevatosi a partire da un prete francese molto popolare in Rete. Si chiama Matthieu Jasseron, è stato ordinato nel 2019 e affianca un confratello nella cura pastorale della parrocchia San Giovanni Battista a Joigny, diocesi di Sens e Auxerre. Sul suo profilo TikTok, che conta più di 600mila follower, ha postato, una settimana fa, un video di due minuti su Chiesa e omosessualità ( bit.ly/2WxyYaJ ), dal titolo eloquente: «Perché, senza dubbio, l'omosessualità non è un peccato?», e dal linguaggio fin troppo diretto. L'hanno visto in 400mila e commentato, su TikTok, in 5mila, mentre su altri social, in particolare YouTube, sono comparse diverse confutazioni. Anche la diocesi è intervenuta, con un prudente comunicato sul proprio sito ( bit.ly/3DBxw7A ): partendo da una citazione in cui Benedetto XVI incoraggiava i preti a essere presenti nell'ambiente digitale, sottolinea che, come gran parte dei suoi confratelli, don Jasseron si esprime in Rete «a titolo personale, senza aver ricevuto una missione particolare». Ma «poiché la sua popolarità conferisce ai suoi interventi una particolare risonanza», bisogna che essi «godano di un più ampio concorso di competenze, per poter impegnare la Chiesa». Occorre dunque avviare un processo che sostenga e qualifichi istituzionalmente questa «opera pastorale». Parole che riflettono questioni note e ben lontane dall'essere risolte: preparato a rivolgersi, normalmente, ai propri parrocchiani, qualunque prete, nell'ambiente digitale, può ritrovarsi davanti una "assemblea" di tutt'altra misura e composizione (specie se interviene su temi ai quali l'opinione pubblica è fortemente sensibile) senza esservi preparato o, peggio, subendo la seduzione dell'improvvisa popolarità. Così, rilanciando sul proprio account Twitter il comunicato della diocesi, la Conferenza episcopale francese avverte che «il successo di audience» di questi video «non significa che siano giusti».
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