martedì 18 luglio 2006
La sera si diventa più accorti per il giorno che è trascorso. Ma non si diventa mai abbastanza accorti per il giorno che deve venire. Conoscevo il poeta tedesco Friedrich Rückert (1788-1866) solo per i suoi Kindertotenlieder ("Canti per i fanciulli morti") splendidamente musicati da Mahler. Scopro ora che ha scritto una valanga di altri versi e da un
epigramma estraggo questa amara considerazione sulla sostanziale inutilità dell'esperienza. Ho già avuto forse occasione di citare la battuta di uno scrittore francese ottocentesco, Jules Renard, che definiva l'esperienza come «un regalo inutile che non serve a niente». Infatti, con essa si è pronti a mordersi le mani per le occasioni perdute e per gli errori fatti durante la giornata appena trascorsa. Ma, dopo un bel sonno, eccoci davanti a un nuovo giorno in cui si ritornerà da capo a far fallire i momenti propizi e a collezionare sbagli. Sembrerebbe ovvio dover prendere lezione da passi falsi e divenire, anzi, ancor più cauti secondo il famoso detto del Bertoldo di Giulio Cesare Croce: «Chi è stato scottato dalla minestra calda soffia anche su quella fredda». E, invece, si procede impavidi rischiando ancora di scottarci. Questo atteggiamento autolesionistico ha diverse ragioni. Due soprattutto sono significative. Anzitutto la superficialità per cui non si è mai inclini a premettere alle azioni il filtro della riflessione o, almeno, dell'esitazione. Si avanza spavaldamente, sicuri, convinti che tutto è semplice e controllabile. L'altra sorgente velenosa del nostro agire è l'orgoglio: si ritiene di aver capacità e dotazioni più che sufficienti per dominare ogni situazione e, così, si disprezza ogni remora e ogni consiglio. Per questo, allora, l'esperienza diventa «il nome che si dà ai propri errori» (O. Wilde).
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