giovedì 23 maggio 2019

Da quando ho iniziato a tenere questa specie di diario del mio viaggio con la Sla (tutte le puntate sono disponibili qui) ho ricevuto una valanga di reazioni. Un po' me l'aspettavo, ma non certo nella quantità in cui sono arrivati. Messaggi su Facebook, Twitter, Whatsapp, e poi sms, email, telefonate alle quali purtroppo non posso rispondere. Si è mosso una specie di tifo da stadio che – lo dico con immenso piacere – mi sostiene e mi dà una grande forza, e intendo in senso letterale.
Ho ritrovato vecchi amici e ho conosciuto tante nuove persone, e so per certo che almeno alcune di queste pagine, condivisione dopo condivisione, hanno fatto letteralmente il giro del mondo. Ho anche incontrato, sia pure solo virtualmente, due persone che hanno fatto lo stesso viaggio che sto facendo io: di uno mi ha scritto la moglie, dicendo di ritrovare nel mio diario tutto quello che avevano passato loro, e raccontandomi che il marito era mancato a novembre del 2017 alla fine di un percorso velocissimo iniziato con la diagnosi del luglio precedente. Del secondo ho invece saputo da un'amica, che mi ha detto di una persona a lei vicina cui la Sla era stata diagnosticata, come a me, nel marzo 2017, e morto a luglio dell'anno successivo, proprio quando io invece iniziavo questa rubrica.
Serve questo che sto facendo? Non lo so. «Credo che sia un modo giusto di affrontare la situazione – mi diceva il professor Mario Sabatelli, che mi ha in cura al Centro Nemo – e penso che le sue note, il suo diario così pacato e senza retorica, possano essere utili anche ad altri che si trovano nella stessa condizione». In tutta onestà non so dire se sia così, neppure ho ancora ben chiaro perché abbia iniziato a scrivere queste pagine, se davvero per dire qualcosa a qualcuno o per me stesso. Davvero non lo so. Non ne ho idea, sul serio. Quello che so di sicuro è che sentire tanto affetto, tanto calore attorno a me mi ha fatto e mi fa, come ho detto, un gran bene. Di sicuro abbastanza da compensare, con gli interessi, le amarezze e le ferite lasciatemi da chi – pochi, pochissimi per fortuna –, approfittando della mia condizione, mi ha deliberatamente fatto del male. Piccinerie, vigliaccate che, lo so, prima di tutto qualificano chi le compie, ma che comunque fanno tanto male, soprattutto quando chi le riceve non è in grado di difendersi. Colpi bassi che vanno ad aggiungersi alla fatica e alla stanchezza che, ogni giorno in misura crescente, la Sla ti carica sulle spalle. E che di quando in quando ti porta a chiederti chi, tra te e i due compagni di viaggio che hai incontrato attraverso queste pagine che scrivi, sia il più fortunato.

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