martedì 29 ottobre 2019
Non sarà facile, ma spero nell'Oscar per "Il Traditore" di Marco Bellocchio, storia di Tommaso Buscetta (un fantastico Pierfrancesco Favino).
Spiacevole effetto collaterale, la fascinazione esercitata da quell'uomo d'onore che non fu meno feroce delle decine di compari consegnati alla giustizia grazie alla sua collaborazione. Tony Soprano non esita a soffocare con le sue mani il nipote Chris Moltisanti, eppure non smette di essermi simpatico. Se in tv ripassa "Il Padrino" o "Goodfellas", ciao a tutti, scusate ma ho da fare. Una mia cara zia condivideva l'insana passione: una, dico, che non uccideva nemmeno le zanzare ("Poarete...").
Vedo e rivedo lo storico confronto in aula tra Buscetta e Pippo Calò, o quello tra Totò Riina e Pino Marchese. Quei racconti: le bicchierate, le feste di paese, le bomboniere, la famiglia, i fratelli, i cognati, le armi tra le vigne, gli appostamenti, il pollo della friggitoria, i santini nelle mani insanguinate. I diminutivi affettuosi: Totuccio, Balduccio, Giannuzzo.
Cosa vado cercando? Cosa c'è in quelle storie che mi rapisce?
Ci sono, credo, le nostre radici pervertite. Il seme di ciò che avrebbe potuto essere, se non ne fosse nata la malapianta. Qualcosa di noi che da lontano si riconosce e vorrebbe tornare a casa, ma la casa non c'è più. È solo un orrido miraggio. Sono solo traditori.
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