mercoledì 13 novembre 2019
Dicono più quei pochi fotogrammi della videocamera di sorveglianza che un intero trattato sulla violenza maschile.
Soho, Londra, febbraio 2017. Due ragazzi italiani escono dallo stanzino di una discoteca e si congratulano tra loro dandosi un cinque. Non basta a celebrare il gran momento: uno dei due allarga le braccia, l'altro gli si avvicina, si stringono dandosi amorose pacche sulle spalle.
Come due che ce l'hanno fatta, che hanno osservato il patto, che hanno portato fino in fondo un difficile compito, che hanno condiviso e superato una dura prova e si complimentano per il rispettivo coraggio.
La difficile prova è avere stuprato a turno una ragazza che non si reggeva in piedi per quanto aveva bevuto, e che per le ferite riportate avrà bisogno delle cure di un chirurgo.
Un rito tribale, un passaggio iniziatico. Dimostrarsi l'un l'altro di non avere paura, e niente fa più paura di una donna e del suo corpo che è lo stesso della madre onnipotente. Segnarla, darle una lezione, metterla sotto, scambiarsi sguardi e umori tra "uomini", suggellare il contratto del potere, noi sopra e lei sotto. Finalmente, è fatta, fratello dammi un cinque.
Scrive dolentemente un uomo buono e giusto su Facebook che «raramente si pensa alla violenza che questa mentalità esercita su un maschio riluttante ad accoglierla… per alcuni è una Via Crucis».
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