domenica 24 agosto 2003
Per avere sotto gli occhi l'immensa irradiazione culturale della Chiesa di Cristo, basta immaginarsi che per un attimo a Londra o a Napoli, a Stoccolma o a Colonia o a Parigi sparissero in un colpo solo dalle chiese, dai musei e dalle biblioteche tutti i monumenti e i documenti artistici, letterari, architettonici, musicali che in qualche modo dipendono dagli stimoli che essa ha dato. Vi sarebbe una nudità impressionante, un vuoto spirituale mai a sufficienza rimpianto. D'estate si viaggia spesso in città storiche colme di monumenti e di opere d'arte. Sarebbe veramente suggestivo tentare di ripetere l'esperienza suggerita da Wolfgang Beinert, teologo dell'università tedesca di Regensburg, nel suo libro Il Cristianesimo (ed. Queriniana). Se così avvenisse, le città si trasformerebbero quasi in un deserto di bellezza, si ridurrebbero a un ammasso di costruzioni e colate di cemento. Il Cristianesimo ha impresso l'anima alle nostre nazioni, alla loro cultura, alla stessa società e alla vita. Spogliarle dei segni cristiani significa, alla fine, distruggerne il cuore. Non vogliamo riprendere la disputa, in verità poco entusiasmante, sulle radici cristiane della civiltà europea, un dato oggettivo difficilmente contestabile, ma lamentare piuttosto il disinteresse per queste radici. Perdere i valori genuini cristiani non significa solo appannare la nostra stessa identità e realtà ma stingere la bellezza, la profondità, la ricchezza interiore. Non è possibile conservare la propria umanità senza essere alimentati di spiritualità, di armonia, di luce. Ed è ciò che viene offerto dall'arte, dalla letteratura, dalla musica che ha attinto - come diceva il pittore Marc Chagall - a quell'«alfabeto colorato della speranza» che è la Bibbia.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: