martedì 20 aprile 2004
Preferisco restare scapolo e solitario, anche se non mi dispiacerebbe aver accanto qualcuno con cui, di tanto in tanto, sbadigliare insieme.In verità non è che lord George Byron (1788-1824), famoso poeta romantico inglese, disdegnasse la compagnia, soprattutto femminile. Tuttavia la frase attesta i due volti della sua esistenza e, se si vuole, della vita umana in generale. Quante volte, infatti, si desidera e si aspira a un po' di solitudine, specialmente quando si devono trascorrere giorni interi nel chiacchiericcio dei luoghi di lavoro, nel frastuono della città, nella babele della casa ove televisore, musiche giovanili assordanti, proteste reciproche sfiancano anche il più estroverso comunicatore. O beata solitudo, o sola beatitudo!, si dice che esclamasse s. Bernardo in un latino che non necessita di traduzione.
Detto questo, è però altrettanto vero che - a scavare in profondità - nonostante l'affollarsi e l'ammassarsi in gruppi, l'uomo e la donna di oggi si sentono spesso soli, tant'è vero che si è coniata la locuzione "folla di solitudini". E, allora, come dice Byron, affiora il desiderio di ritrovare un'intimità condivisa, magari anche solo per annoiarsi e sbadigliare insieme. Lo scrittore americano Saul Bellow affermava ironicamente: «Perfino Adamo, che pure aveva il Signore in persona con cui parlare, chiese alla fine un po' di compagnia umana». L'impresa è, allora, quella di conservare l'equilibrio tra la solitudine e la compagnia. Senza la prima, ci si disperde nella massa e si affoga l'anima; senza la seconda, si piomba nell'isolamento e nella maniacalità.
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