domenica 28 agosto 2005
Il maestro disse a un suo allievo: «Vuoi che ti insegni in che cosa consiste la vera conoscenza? Ebbene, essa consiste nell'essere consapevole sia di sapere una cosa, sia di non saperla». Oggi la liturgia ci propone la figura di un gigante del pensiero cristiano, s. Agostino, colui che ha sondato il mistero di Dio e dell'uomo ma ha saputo anche riconoscere l'impotenza della creatura di fronte all'infinito e all'eterno divino. Così, abbiamo voluto proporre come oggetto per la nostra riflessione questo detto tratto dai Dialoghi di Confucio, il celebre pensatore cinese vissuto cinque secoli prima di Cristo. Compito del maestro - sostiene il sapiente - è quello di insegnare la vera conoscenza (cosa, questa, che è tutt'altro che ovvia, soprattutto nel caso di una scuola così striminzita com'è quella odierna, affidata più alla tecnica che alla formazione mentale e personale). Ebbene, uno dei cardini della conoscenza genuina è la consapevolezza del proprio limite mentale. L'intelligenza è una realtà preziosa che ci apre panorami affascinanti, eppure - diceva il filosofo francese Henri Bergson - «ci sono cose che soltanto l'intelligenza è capace di cercare ma che, da sola, non troverà mai». E qui entra in scena la rivelazione divina che offre orizzonti insospettati nei quali la ragione deve inoltrarsi condotta per mano. Ci sono , dunque, ambiti che sfuggono alla nostra conoscenza e questo vale anche a livello di realtà semplici: noi non potremo mai esaurire la grandezza dell'essere in cui siamo immersi. È per questo che potremmo ripetere le parole di Pascal: «L'ultimo passo della ragione è riconoscere che c'è un'infinita di cose che la sorpassano».
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