martedì 15 febbraio 2022
Raramente mi inoltro in un ipermercato, di quelli grandi, nei centri commerciali. Entro e resto quasi spaventata dalla quantità di roba. Roba da mangiare: pendono dal soffitto lauti prosciutti, si allineano negli scaffali centinaia di panettoni in saldo. E fila di bottiglie di spumante, e schiere di salse di pomodoro, e pasta, tanta pasta da sfamare un esercito. La frutta poi, piramidi di mandarini, e già le fragole, arrivate dal Marocco. E tutti quei cibi freschi, lasagne, ravioli, veramente troveranno un acquirente? Veramente si riesce a ridistribuire tutto alle associazioni benefiche, prima della data di scadenza?
Il ben di Dio, avrebbero detto i miei nonni. Ma, mi pare, troppo: sovrabbondante, schiacciante. E mi mette, questa sensazione di spreco, come un'ansia. Quasi assistessi, e fossi complice, di un'ingiustizia. Una inquietudine addosso, come davanti a qualcosa di sbagliato.
La voglia di fare la spesa mi passa, arrivo alla cassa con quattro cose nel carrello. Davanti c'è la coda, carrelli traboccanti, come si facesse scorta per una carestia imminente. Roba, roba.
Penso a mio padre, quando da bambina stavo buttando una pera troppo matura, e risento la sua voce pacata: “Quella pera, sul Don ce la saremmo divisi in quattro”. Solo questo: e io mi sono fermata, il frutto in mano, come stessi compiendo un sacrilegio.
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