giovedì 29 agosto 2013
Alla metà del Cinquecento, un ebreo veneziano, tal Simele da Montagnana, si innamorò di una ragazza cristiana. Aveva moglie e figli e stava con loro in ghetto, ma l'amore fu più forte e finì per convertirsi, prendendo il nome di Gian Giacomo de' Fedeli. Ma non voleva rinunciare alla sua prima famiglia, e fu così che cominciò a fare una vita doppia, un po' vivendo da cristiano con la nuova moglie, un po' da ebreo in ghetto con la moglie precedente e i figli. Della sua conversione non aveva detto nulla. All'Inquisizione diceva di portare pazienza, che continuando a tenere il segreto sperava di riuscire a portare tutti nelle braccia della Chiesa. Quando era in mezzo ai cristiani, mangiava naturalmente di tutto, porco compreso, ma se per caso passavano per la casa degli ebrei subito gli portavano via dal piatto i cibi «proibiti», ché gli ebrei non ne traessero indizio della sua conversione. Durò cinque anni, poi l'Inquisizione si stancò di aspettare e lo mise sotto processo per apostasia. Fu assolto, non prima però di aver fatto battezzare i figli. E la vecchia moglie? Restò in ghetto, dal momento che i convertiti non erano obbligati ai vecchi legami famigliari. La favola insegna che a volte la realtà è più romanzesca della fantasia.
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