mercoledì 8 giugno 2005
Aria serena quando appar l'albore,/ e bianca neve scender senza venti,/ rivera d'acqua e prato d'ogni fiore,/ oro, argenti, azzurro in ornamenti.
Sono quattro piccole scene che scorrono davanti ai nostri occhi: provate, leggendo piano ogni verso, a ricrearle per un istante. Ecco un'alba luminosa con l'aria tersa e primaverile. Oppure una stanza calda invernale e dalla finestra contemplare lo svolazzare pacato e costante dei fiocchi di neve. Ecco poi un paesaggio estivo campestre con un ruscello che scorre lieve e un prato costellato di fiori. E infine un intrecciarsi di splendori e colori su un tessuto prezioso o in un palazzo sontuoso.Immagini, certo, di bellezza e di armonia, ma ciò che vorremmo marcare in questi versi del sonetto Beltà di donna di Guido Cavalcanti, poeta fiorentino del XIII secolo, è piuttosto la pace che quelle scene generano in chi le contempla. Un sentimento e una gioia che, frettolosi e distratti come siamo, non sappiamo più gustare. E così dimentichiamo di ringraziare per tanti doni che ci sono offerti e che subito accantoniamo o anche ignoriamo. Respirare, camminare, vedere, ascoltare sono offerte divine quotidiane di cui non apprezziamo più il valore. Così, paesaggi stupendi, volti misteriosi e gentili, opere mirabili dell'arte sfilano invano davanti a persone incupite e ingrigite, incapaci di ricordare che «l'uomo non vive di solo pane» (pur necessario) ma anche di parole, di realtà, di segni belli e divini. Le "meraviglie" sono tante, solo che noi abbiamo perso la capacità di "meraviglia".
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