sabato 27 ottobre 2018
Una mattina di primavera al Cimitero Monumentale di Milano, con Pietro di tre anni per mano. Eravamo andati alla tomba di mia sorella, morta bambina. Dopo tanti anni io ancora lì, con le mie silenziose domande. Poi, nella giornata di sole, ci avviammo per i viali, tra le cappelle di famiglia e gli orgogliosi monumenti funerari della borghesia milanese del primo Novecento. C'erano figure di ogni sorta, a grandezza d'uomo e di più: Madonne, santi, leoni, angeli, cannoni. Avanzavamo in quel mondo di pietra nel solo rumore dei nostri passi sulla ghiaia. Lo sguardo del bambino scivolava sorpreso sulle statue, enormi ai suoi occhi. I cannoni lo entusiasmarono: si staccò dalla mia mano e corse a toccarli. Vedevo però che si voltava verso le fotografie sulle lapidi. Infine, curioso: «Ma tutte queste persone qui sotto, cosa fanno?» Io, dopo un momento di incertezza (cosa dici della morte a uno di tre anni?) seppi dire soltanto: «Hanno sonno. Dormono». Qualche secondo di silenzio, la faccia del bambino pensosa. Poi la sua voce argentina, che ancora non dimentico: «Dormono? E quando si svegliano?». Come se fosse ovvio, che non c'è sonno che duri per sempre. Che siamo chiamati a tornare alla luce. Presi in braccio mio figlio e lo strinsi. A quell'età sanno ancora, ciò che poi in molti scordiamo.
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