sabato 26 giugno 2021
Nella tradizione cristiana, il binomio composto da “preghiera” e “lavoro” rappresenta, si può dire, un classico. I due nomi vanno sempre a braccetto, ma se la tradizione non si discute, la teologia ha continuamente cercato di approfondire la relazione tra questi elementi. Tanto che ancora nel 1971 Paolo VI, ricevendo un gruppo di cappellani del lavoro e dettando loro una sorta di “decalogo” delle cose da fare, mise in risalto proprio la necessità di approfondire la teologia del lavoro, sottolineando che si trattava di «un campo tutto da esplorare, per portare avanti anche concettualmente l'incontro della nostra fede con le realtà materiali, sociali, economiche e la loro evoluzione... sono tutti temi che meritano di essere esplorati a fondo, affinché gli uomini della fatica, i protagonisti del processo di trasformazione del mondo, vedano nella loro opera il profondo nesso che li ricollega a Dio e che li nobilita, al di là della sofferenza e dei limiti della vicenda quotidiana».
Giovanni Paolo II ha dedicato, molti lo rammentano, al tema del lavoro e della preghiera molte e ricchissime pagine del suo magistero, ricordando spesso quanto la sua esperienza giovanile di operaio avesse influito sulla sua formazione cristiana e sulla sua vocazione. E del resto Benedetto XVI ci ha insegnato come «la preghiera non è legata ad un particolare contesto, ma si trova inscritta nel cuore di ogni persona e di ogni civiltà. Naturalmente, quando parliamo della preghiera come esperienza dell'uomo in quanto tale, dell'homo orans, è necessario tenere presente che essa è un atteggiamento interiore, prima che una serie di pratiche e formule, un modo di essere di fronte a Dio prima che il compiere atti di culto o il pronunciare parole. La preghiera ha il suo centro e affonda le sue radici nel più profondo della persona; perciò non è facilmente decifrabile e, per lo stesso motivo, può essere soggetta a fraintendimenti e a mistificazioni».
Papa Francesco ha molto insistito su questa dimensione “a tutto tondo” della preghiera, e nella penultima udienza generale ha affermato che «preghiera e lavoro sono complementari», e che se la preghiera è «il respiro della vita», essa è allo stesso tempo «il sottofondo vitale del lavoro, anche nei momenti in cui non è esplicitata». Così «anche al mercato o durante una passeggiata solitaria è possibile fare una frequente e fervorosa preghiera. È possibile pure nel vostro negozio, sia mentre comperate sia mentre vendete, o anche mentre cucinate». Perché alla fine la preghiera «è una sorta di rigo musicale, dove noi collochiamo la melodia della nostra vita... non è in contrasto con l'operosità quotidiana, non entra in contraddizione con i tanti piccoli obblighi e appuntamenti, semmai è il luogo dove ogni azione ritrova il suo senso, il suo perché e la sua pace. Certo, mettere in pratica questi principi non è facile. Un papà e una mamma, presi da mille incombenze, possono sentire nostalgia per un periodo della loro vita in cui era facile trovare tempi cadenzati e spazi di preghiera. Poi, i figli, il lavoro, le faccende della vita famigliare, i genitori che diventano anziani... Si ha l'impressione di non riuscire mai ad arrivare in capo a tutto. Allora fa bene pensare che Dio, nostro Padre, il quale deve occuparsi di tutto l'universo, si ricorda sempre di ognuno noi». Lavoro e preghiera possono sempre andare a braccetto.
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