giovedì 18 maggio 2017
Spesso chi lotta contro la prostituzione, ex-vittime di tratta in prima fila, è oggetto dello stesso trattamento sperimentato dalle "resistenti" all'utero in affitto: censura, dileggio, gogne mediatiche. Sfottò razzistici per le sopravvissute, quasi sempre straniere e incerte nell'uso della lingua italiana.
Anche i princìpi agiti dalle cosiddette militanti "sex-positive" sono gli stessi su cui si incardina la propaganda alla Gpa: autodeterminazione, il corpo è mio, è un lavoro come un altro, sempre meglio che "lavare il c...o ai vecchi" (chiedo scusa). Alla faccia delle badanti. Sex work è libertà. È addirittura "lavoro di cura", secondo una ex-femminista storica traslocata su altre sponde. Le donne che lottano contro la prostituzione sono le peggiori nemiche delle «lavoratrici e dei lavoratori dell'industria del sesso» stigmatizzati «da parte dell'opinione pubblica e di parte del femminismo, proni ai modelli culturali e legislativi dominanti» (collettivo Ombre Rosse). La prostituzione va regolarizzata – come in Germania, ormai il bordello d'Europa –. Per avviarsi magari verso la depenalizzazione del reato di sfruttamento. Il fascinoso intervento delle sex-worker di Ombre Rosse è piaciuto molto alle femministe (?) di Non Una di Meno. Solo tiepidi consensi invece per il sofferto racconto di una ex-vittima di tratta.
La propaganda sa lavorare bene. Il mondo è alla rovescia.
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