venerdì 31 maggio 2019
Ibiografi di Michelangelo sono unanimi nel sottolineare l'importanza della figura materna nella sua opera: perse la madre da bambino e in molti momenti la sua arte sarà una specie di dialogo, evocazione discreta o puro grido, con questa figura assente e, proprio per questo, smisuratamente presente. Pensiamo, per esempio, alla Pietà che si trova in San Pietro, una delle immagini più dolorose e iconiche del cristianesimo. La madre sta seduta e il Figlio morto riposa sul suo grembo. La Madre ha un corpo enorme, capace di ospitare il corpo del Figlio adulto, ma conserva il volto di una ragazza in fiore. Il corpo sembra una scialuppa, un salvagente, una città-rifugio. Il viso però si disegna impavido, come se, attraverso quella sofferenza, guardasse altrove, e si concentrasse non su quella morte ma sull'infanzia intatta del figlio. È un enigma questa discordanza apparente, e le ipotesi di spiegazione sono numerose: che Michelangelo fosse contagiato dal neoplatonismo, secondo cui la vita divina è impassibile; che intendesse riprodurre la forma dei volti della scultura greco-romana, tanto ammirata dal Rinascimento; che citasse il teologico verso di Dante sui misteri della Vergine, «figlia del suo figlio»; o semplicemente che quel viso giovane fosse l'immagine che un figlio può serbare della propria madre perduta nell'infanzia.
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