Perché i Latini non ridevano mai? Semplice, erano sempre in armi
sabato 3 ottobre 2009
Con queste poche righe voglio diffondere una notizia non da poco: gli antichi Latini non ridevano quasi mai. Ho saputo questo da una breve nota che lo scrittore e latinista Luca Canali pubblica sull'ultimo numero dell' "immaginazione" (luglio-agosto 2009). Si tratta di una vera notizia che, per quanto mi riguarda, non ho la competenza per contraddire. Eravamo abituati a credere che la "vis comica" fosse tipicamente romana. Invece no. Evidentemente siamo diventati comici solo dopo, soprattutto dalla seconda metà del Novecento in poi (se si esclude il '68) prima con Totò, Peppino, Sordi, Tognazzi, Gassman e oggi con una marea di comici maggiori o minori che hanno trasformato l'Italia nel paese in cui si vuole sempre ridere e far ridere: mania che paralizza e censura altre possibilità espressive e mentali.
Specializzarsi nel ridere e nel far ridere è l'arte di mettere il sublime nell'umile e un po' di follia nella normalità. Ma ogni specializzazione porta con sé qualche deformazione. Non sa veramente ridere chi non sappia eventualmente piangere. O forse, se ride soltanto, «piange senza saperlo».
I Latini non sembrano essersi molto dedicati all'arte di ridere, secondo Canali. Il loro stile virile era improntato alla serietà, alla «gravitas». Almeno ufficialmente i romani ridevano di rado e questa «indubbia cupezza» viene spiegata da Canali con la loro «diuturna pratica delle armi» e con la «pressoché ininterrotta vicenda delle guerre civili. Insomma si può presumere che un popolo perennemente in guerra - e in guerre spietatamente imperialiste - possa difficilmente essere considerato incline al riso». Plauto, dice Canali, suscita risate sguaiate. Il massimo satirico, Giovenale, è acrimonioso. Orazio fa sorridere. Marziale è ammirevole nella perfidia. Nel Satyricon di Petronio domina un «senso di funereo disfacimento». Se Canali ha ragione, i Latini non ci somigliavano. Ma il vizio della lotta fratricida ci è rimasto. Anche ridendo, abbiamo sempre in testa l'eliminazione dell'avversario.
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